28 novembre 2012

Mina 12 Amerinca Songobook. Il primo singolo: Over the Rainbow

Si chiama 12 american songobook, esce il 4 di dicembre, dal 23 in radi si sente il primo singolo estratto, Over The Rainbow.

Il link migliore per ascoltarlo è quello che si può ascoltare sul sito della Tigre, al quale rimando.

Ognuno giudichi da sé...

Sempre sul sito le anteprime delle 12 copertine con cui uscirà l'album.

Solo un piccolo commento. A un giudizio frettoloso sembrano brutte le copertine quanto il brano. Ma se solo date loro la chance di una ascolto (uno sguardo) più attento...

Un po' Vanda Osiris un po' Ru Paul...

26 novembre 2012

Casablanca compie 70 anni



Melange perfetto di toni, generi, archetipi e stereotipi dell'immaginario collettivo, presenta una memorabile galleria di personaggi grandi e piccoli.
La più sottile opera di propaganda antinazista realizzata durante la guerra e la più decisiva eccezione alla teoria del cinema d'autore.
Vinse 3 Oscar (film, regia, sceneggiatura). Tratto da Everybody Comes to Rick's, commedia di Murray Burnett e Joan Allison mai messa in scena, sceneggiato dai Julius J. (1909-2000) & Philip G. (1909-52) Epstein e Howard Koch.

In Italia uscì solo alla fine della guerra (come tutti i film made in USA dal 1939 in poi), censurato nei dialoghi più caldi per l'Italia: eliminati i riferimenti ai fascisti italiani e tolto il personaggio del capitano Tonelli che all'aeroporto fa il saluto romano.
Il regio decreto-legge del 4 settembre 1938, n. 1389, chiamato "legge Alfieri" dal nome del Ministro della Cultura Popolare, introdusse tra le altre misure il monopolio dell'Enic (l'Ente Nazionale per le Industrie Cinematografiche, fondato nel 1935) per "l'acquisto, l'importazione e la distribuzione dei filmi cinematografici", imponendo così l'autarchia distributiva.
Le quattro principali major di Hollywood (20th Century Fox, Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount e Warner Bros.) si ritirarono dal mercato italiano a partire dall'1 gennaio 1939. Il numero dei film americani importati in Italia si ridusse da 162 nel 1938 a 64 nel 1939 fino a scendere a soli 36 nel 1940 (per poi sparire quasi del tutto l'anno successivo), con un impatto economico evidente se si pensa che nel 1938 i film americani rappresentavano il 73,5% degli incassi complessivi del mercato italiano.





Titolo originale Casablanca
Lingua originale inglese, francese, tedesco, italiano
Paese di produzione Stati Uniti d'America
Anno 1942
Durata 102 min
Colore B/N
Audio sonoro
Rapporto 1.33:1
Genere drammatico, romantico
Regia Michael Curtiz
Soggetto Murray Burnett, Joan Alison (opera teatrale)
Sceneggiatura Julius J. Epstein, Philip G. Epstein, Howard Koch
Produttore Hal B. Wallis per Warner Bros
Distribuzione (Italia) Warner Bros (1946)
Fotografia Arthur Edeson
Montaggio Owen Marks
Effetti speciali Lawrence W. Butler
Musiche M.K. Jerome, Jack Scholl, Max Steiner (musiche originali), Herman Hupfeld ("As Time Goes By")
Scenografia Carl Jules Weyl
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani

Frase in italiano Frase in inglese Pronunciata da:
«Alla tua salute, bambina» Here's looking at you, kid. Rick
«Louis, penso che questo sia l'inizio di una bella amicizia» Louis, I think this is the beginning of a beautiful friendship. Rick
«Suonala, Sam. Suona... Mentre il tempo passa» Play it, Sam. Play "As time goes by" Ilsa
«Fermate i soliti sospetti» Round up the usual suspects Cap. Renault
«Avremo sempre Parigi.» We'll always have Paris Rick
«Con tanti ritrovi nel mondo, doveva venire proprio nel mio» Of all the gin joints in all the towns in all the world, she walks into mine Rick     

19 novembre 2012

Fine della settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma

Di tutti i film che dovevo vedere domenica ho visto solo due fuori porgramma, due proiezioni speciali che mi hanno permesso di recuperare due film che avevo perso.

Si tratta di Populaire (Francia, 2012) di Regis Roinsard un film frivolo su una stroia d'amore alla fine degli anni '50 tra un imprenditre locale e una giovane che aspira a fare la dattilografa e vince il concorso mondiale di velocità di battitura...
Operina innocua e godibilissima che si impone soprattutto per l'investimento economico (profusione di autombili d'epoca addrittura a Parigi nei pressi dell'Arco di trionfo fatto alla vecchia maniera senza l'ausilio del computer. Splendida fotografia scenografiee costumi, attori e attrici in stato di grazia, ma la storia è davvero esile esile. 


La vera sopresa della mattinata è lo spendido Mental (Australia, 2012) di J. Paul Hogan, quello de Il matrimonio di Muriel e Priscilla che non è andato in concorso perchè Jogan è fa parte della giuria. 
Il film ragiona sulla malattia mentale sul conformismo e sul fatto che abbiamo tutti delle psicosi. Un'apologia della famiglia e del matrimonio (anche tra due donne) fatta con intelligenza e ironia (l'omaggio a The Sound of Music di Wise) e con una Toni Colette sempre grandiosa, anche se il ruolo è un po' la ripetizione del televisivo  United States of Tara (anche se il suo perosnaggio nel film non soffre di disturbo da personalità multipla). 

E per quest'anno basta...



PREMI ASSEGNATI AI FILM IN CONCORSO

La Giuria Internazionale presieduta da Jeff Nichols e composta da Timur Bekmambetov, Valentina Cervi, Edgardo Cozarinsky, Chris Fujiwara, Leila Hatami e P.J. Hogan, ha assegnato i seguenti premi:

- Marc’Aurelio d'Oro per il miglior film: Marfa Girl di Larry Clark
- Premio per la migliore regia: Paolo Franchi per E la chiamano estate
- Premio Speciale della Giuria: Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi
- Premio per la migliore interpretazione maschile: Jérémie Elkaïm per Main dans la main
- Premio per la migliore interpretazione femminile: Isabella Ferrari per E la chiamano estate
- Premio a un giovane attore o attrice emergente: Marilyne Fontaine per Un enfant de toi
- Premio per il migliore contributo tecnico: Arnau Valls Colomer per la fotografia di Mai morire
- Premio per la migliore sceneggiatura: Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue per The Motel Life


I PREMI ASSEGNATI AI FILM NEL CONCORSO DI CINEMAXXI

La Giuria Internazionale presieduta da Douglas Gordon, e composta da Ed Lachman, Andrea Lissoni ed Emily Jacir, ha assegnato i seguenti premi: 

- Premio CinemaXXI (riservato ai lungometraggi): Avanti Popolo di Michael Wahrmann
- Premio Speciale della Giuria – CinemaXXI (riservato ai lungometraggi): Picas di Laila Pakalnina
- Premio CinemaXXI Cortometraggi e Mediometraggi: Panihida di Ana-Felicia Scutelnicu


I PREMI ASSEGNATI AI FILM DEL CONCORSO PROSPETTIVE ITALIA

La giuria presieduta da  Francesco Bruni e composta da  Babak Karimi, Anna Negri, Stefano Savona, Zhao Tao, ha assegnato i seguenti 

- Premio Prospettive per il migliore Lungometraggio: Cosimo e Nicole di Francesco Amato
- Premio Prospettive per il migliore Documentario: Pezzi di Luca Ferrari
- Premio Prospettive per il migliore Cortometraggio: Il gatto del Maine di Antonello Schioppa

Menzioni speciali: Cosimo Cinieri e in memoria di Anna Orso per La prima legge di Newton


IL PREMIO ASSEGNATO ALLA MIGLIORE OPERA PRIMA E SECONDA

La Giuria Internazionale presieduta da Matthew Modine e composta da Laura Amelia Guzmán,  Stefania Rocca, Alice Rohrwacher e Tanya Seghatchian ha assegnato il:

- Premio alla migliore opera prima e seconda: Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi 
- Menzione speciale: Razzabastardadi Alessandro Gassman

Hanno partecipato al premio i film appartenenti ad una delle diverse sezioni competitive del Festival: Concorso, CinemaXXI, Prospettive Italia e la sezione autonoma e parallela Alice nella città.


PREMIO DEL PUBBLICO BNL PER IL MIGLIOR FILM

Attraverso un sistema elettronico, il Festival ha previsto la partecipazione degli spettatori all’assegnazione del Premio del Pubblico BNL per il miglior film. I film che hanno partecipato all’assegnazione del premio sono quelli del Concorso. Il pubblico ha assegnato il:

- Premio del Pubblico BNL per il miglior film: The Motel Life di Gabriel Polsky, Alan Polsky.
premi collaterali
PREMIO LANCIA 2012 – ELEGANZA IN MOVIMENTO
Claudia Pandolfi

PREMIO ENEL CUORE AL CINEMA SOCIALE
El ojo del tiburón di Alejo Hoijman

PREMIO L.A.R.A. (Libera Associazione Rappresentanza di Artisti) AL MIGLIOR INTERPRETE ITALIANO
Paolo Sassanelli per Cosimo e Nicole

PREMIO A.I.C. AWARD FOR THE BEST CINEMATOGRAPHY
Lü Yue per 1942

PREMIO A.M.C. MIGLIOR MONTAGGIO
Hughes Winborne e Fabienne Rawley per The Motel Life
Premio alla carriera a Nino Baragli

PREMIO FARFALLA D’ORO AGIS SCUOLA
1942 di FENG Xiaogang

PREMIO TAO DUE LA CAMERA D’ORO 2012 PER IL MIGLIOR REGISTA EMERGENTE E IL MIGLIOR PRODUTTORE
Miglior regista emergente
Alina Marazzi per Tutto parla di te
Miglior Produttore
Gianfilippo Pedote per Tutto parla di te

 
 
 

 

17 novembre 2012

(Pen)ultimo giorno di festival

Tom le Cancre (t.l.Tom il somaro) (Fracia, 2012) di Manuel Pradal parte benissimo restituendo il punto di vista di un gruppo di bambini persi nel bosco mentre la maestra è svenuta dopo aver mangiato una mora, con un'anarchia radicale e indimenticabile fino all'incontro con un ragazzo più grande, che vuole far disimparare loto tutto prima di riportarli alle rispettive famiglie. Ma da quando incontrano il lupo (un adulto con la pelle dell'animale) il film si dimentica dei bambini, non esplora più le potenzialità dei personaggi e perde e segue gli adulti corteggiamenti  e matrimoni disgustosamente  sessisti arrancando stancamente verso un finale debole e non conclusivo.
Una delusione perché il film ha elementi notevoli  che lo rendono davvero godibile.

Mundo Ivisiviel, film collettaneo con 12 registi 12 finanziato dalla Mostra internazionale del cinema di San Paolo con la mission di parlare del visibile e dell'invisibile nella città è una delusione gigantesca assai visibile.
Solo tre dei 12 cortometraggi sono visibili, gli altri sono veramente fuffa e della peggiore specie.

Do Visível ao Invisível, di Manoel de Oliveira
racconta dell'incontro inaspettato di due amici disturbati dalle continue telefonate ai rispettivi cellulari. Così per parlare si parano tramite telefono nonostante siano uno di fronte all'altro.

Tributo ao Público de Cinema, di Jerzy Stuhr
Un omaggio alla platea: Jerzy Stuhr riprende il pubblico e le sue reazioni durante la proiezione del suo film O Tempo de Amanhã (2003) ala Mostra Internacional de Cinema de São Paulo

Gato Colorido, di Guy Maddin
Immagini amatoriali ma in bianco e nero del cimitero da Consolação che si alternano a quelle a colori di un gatto nero che cerc di mangiare una carcassa animale (un uccello?)

Fábula – Pasolini em Heliópolis, di Gian Vittorio Baldi
Sarà anche stato il suo produttore ma Gian Vittorio Baldi  non è Pasolini la ricostruzione del sopralluogo fatto nel 1968 per girare un film sull'Apostolo San Paolo nella città omonima si lascia sedurre dalla strada sin troppo facile dell'imitazione di Pasolini, fastidiosa e inopportuna.

Tekoha, de Marco Bechis
Una barzelletta filmata. Degli indios passeggiano per il Parque Trianon, nel centro della città mentre delle voci fuori campo li idnicano e chedno loro se sonoindios come fossero alieni. All'eneisma domanda uno degli indios risponde che sembrano ma non lo sono.

Ver ou não ver, di Wim Wenders
Un Wenders senile riprende amatorialmente un gruppo di bambini e bambine ipovedenti assistiti dal Departamento de Oftalmologia da Santa Casa de São Paulo, mentre una musica strapalacrime al painoforte insiste sul pedale della commozioe spinta. come il vuoto di questo corto. Da vomitare.

Aventuras do Homem Invisível, di Maria de Medeiros
L'uomo invisibile è un cameriere di un albergo di lusso di San Paolo che, in qanto servo, è ignorato, oppure, usato come occhio voyer. Quando, finito il turno di lavoro, assiste una donna che è caduta, la dona, cieca, lo ringrazia dicendo che è molto gentile. Il vedere non riguarda la vista. Semplice e commovente.

Céu Inferior, di Theo Angelopoulos
Un predicatore fuori di testa rompe i coglioni ocn Gesù cristo, Insopportabile. Inutile. Come chi ci vuole imporre Gesù.

Yerevan - O Visível, di Atom Egoyan
Il più bel corto, l'unico non ambientato a San Paolo ma a Yerevan capitale dell'Armenia dove viene raccontata una delel tante storie del genocidio armeno che ha visto morire un milione e mezzo di persone nel silenzio pubblico mondiale.

O Ser Transparente, di Laís Bodanzky
Una carrellata di luoghi comuni sul ruolo del'attore, sull'impegno, la disciplina, la fatica (come se ci fossero lavori in cui non ci si deve impegnare o avere disciplina, ma vai in fabbrica va') e dove ci si rifà alla teoria sull'attore di un giapponese trapiantato in Brasile, Yoshi Oida, che parla di attore invisibile, cioè di un attore strumento della performance che è l'unica cosa che conta e si deve vedere. La luna e non il gesto. Peccato che una delle attrici che si rifà a questa poetica è conciata come una guru buddista, capelli rasati, di arancio vestita. menomale che doveva essere invisibile.
Conta solo l'atto creativo non l'interpretazione che è solo tecnica. Benedetto Croce non muore mai.  
Avremmo dovuto poi vedere The Dandelion con Isabella Rossellini. Ma la proiezione è stata cancellata pare per i contenuti inadeguati (!?) del film. Nulla di ufficiale, ma i problemi tenici addotti dalla responsabile quando le ho chiesto lumi non mi hanno convinto. I problemi tecnici avendo tempo si risolvono. e il tmepo per stampare un comunicato da mettere in casella stampa (colpa mia che non l'ho letto in tempo) ci sono stati. Dunque non so... E non saprò.

My Sweet Orange Tree (Brasile, 2012) di Marcos Bernstein è uno di quei film che a leggere le note sul programma non avrei valuto vedere, invece è un film commovente di quelli che si facevano alle prime edizioni di Alice (alla Festa del cienma):  punto di vista del bambino, amicizia con adulti, altri adulti piccoli e cattivi (oltre che violenti) il premio per il miglior film non poteva andare a film migliore (tranne forse Blackbird...) coin una bella motivazione:
per il perfetto equilibrio tra poesia ed intrattenimento che ne fa un film tecnicamente elegante senza essere inaccessibile. La forte emotività dei contenuti si fonde con una fotografia suggestiva e dal taglio personale. La fantasia è resa protagonista grazie a scene che rappresentano l’immaginazione del piccolo personaggio Zezè, magistralmente interpretato da Joao Guilherme de Avila, senza nulla togliere alla veridicità e alla profonda intimità del legame tra i personaggi.

Altra sorpresa The Passion of Michelangelo (Chile, 2012) di Esteban Larraìn che racconta le vicende del giovane Miguel Angel Poblete, un giovane ragazzo di strada di 14 anni che che giura di vedere e parlare con la Vergine Maria rendendo improvvisamente faso il piccolo paese di Peñablanca, in Chile, dove stigmate, e miracoli sono all’ordine del giorno. Mentre il governo di Pinochet cerca di piegare questo fenomeno a suo vantaggio, la Chiesa manda un prete a indagare. Intanto Miguel Angel si monta la testa, diventa ambizioso, coinvolge alcuni amici di strada, si convince a spettacolarizzare il suo contatto con la Vergine.  Quando la verità viene scoperta il ragazzo viene abbandonato al ludibrio della folla che gli dà del frocio perchè Miguel Angel, vistosamente effeminato si è vestito da Vergine.
Un film solido che non lascia  spazio alla retorica e non eccede nel clericalismo né nell'anticlericalismo.
durante i titoli di coda il film ci informa che dopo 20 anni di oblio di Poblete si è di nuovo parlato nel 2002 quando, diventata una donna transessuale e avendo preso il nome di Karol Romanoff, raccotoò di essere stato manipolato e indotto a credere alle visioni.
Karol è morta nel 2008 per una grave forma di cirrosi in quanto alcolista.

Ciro (Italia, 2012) di Sergio Panariello e Razza Bastarda (Italia, 2012) di Alessandro Gassman, sono accomunati oltre che dalla programmazione dalla stessa ideologia, televisiva, cioè semplificatoria, che cerca le ragioni della marginalità sociale nella origine geografica, partenopea per Ciro, il giovane protagonista del corto, e romena per il personaggio interpretato da Gassman.
Se Ciro è naif prima ancora che indigesto, tutto paternalisticamente incentrato sulle ragioni di ragazzino innamorato che portano il giovane protagonista a lavorare per un delinquente così può passare i soldi a una ragazza che gli piace e che, ma non si sa perchè, è a corto di soldi ed è pronto a vendicare la ragazza, quando scopre che l'uomo che l'ha messa incinta e abbandonata è proprio il ras che gli dà lavoro immaginandosi di sparargli, Razza Bastarda, girato con un pretenzioso bianco e nero contrastatissimo, vede un Gassman pessimo nella recitazione (il suo accento rumeno è razzisticamente inesistente e ridicolo)
in una storia che dove il giovane figlio del protagonista è innamorato di una giovane prostituta (e quando la vede con un cliente piange) ma la sensibilità non lo sottrae da spacciare o rubare una partita di eroina al padre, mettendolo nei guai. La soluzione? Farsi a sua volta di ero mentre il padre si mette una pistola in bocca...
A vedere queste pellicole si stenta a credere che siamo lo stesso paese che ha avuto il neorealismo...

L'unica nota positiva del film è Giovanni Anzaldo e non tanto per l'avvenenza (notevole) ma proprio per la bravura con cui interpreta Geco.

Il film è la versione cinematografica di Cuba and His Teddy Bear scritto da Reinaldo Povod nel 1986, portato in scena da Robert De Niro a New York, incentrato sui contrasti tra ispanici e statunitensi e sul mondo della droga.

A riadattarlo per il teatro italiano con il titolo
Roman e il suo cucciolo da Edoardo Erba, è stato trasposto a Roma e portato in scena sempre da Gassman  e Anzaldo con un grande successo di pubblico e critica insignito del Premio Ubu 2010 come Miglior Spettacolo dell'anno mentre Anzaldo, quest'anno, è stato insignito del Golden Graal del teatro come  miglior attore.

E poi con 60 minuti di ritardo sull'orario annunciato finalmente  è stata la volta di Una pistola en cada mano (Spagna, 2012) di Cesc Gay, sì, proprio quello di Krampac, che ammannisce un film anticinematografico tutto dialogo spacciando una storia di ordinarissima media borghesia per un ritratto del maschio spaesato. Noiosissima, verbosissima, interminabile nonostante i soli 94' di durata.

E finalmente in santa pace me ne trono a casa.





16 novembre 2012

Pompini e poesia. Festival internazionale del film di Roma. Ottavo giorno

Tar (Usa, 2012) di  Edna Biesold, Sarah-Violet Bliss, Bruce Thierry Cheung, Gabrielle Demeestere, Alexis Gambis,Shruti Ganguly, Brooke Goldfinch, Omar Zuniga Hidalgo, Shripriya Mahesh, Pamela Romanowsky, Tine Thomasen, Virginia Urreiztieta con la supervisione di James Franco è presnetato su IMDB come A poetic look at author C.K. Williams' life over the course of 40 years. In realtà, sù di quattro linee temporali sulle quali il film si sviluppa, il presente con il poeta che declama suo versi, gli anni 70 quando il poeta vive con moglie e figlio, l'adolescenza, e la preadolescenza,  quello che rimane impresso sono i ripetuti pompini  che il giovane si fa fare (da ragazzine coetanee e da un puttanone negro, ma scappa da quella donna, finendo da solo, dietro una casa...), mentre i suoi versi  vagheggiano di quando si era puri o che tutti moriremo dopo l'incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island (dalla poesia Tar, che dà il tutolo al film). Un film insopportabile perchè incapace di mostrare lì'estro creativo poetico, (basta una macchina da scrivere elettrica? O la rabbia della mancanza di ispirazione che fa scagliare alcuni libri per terra?). Le poesie di Williams sono molto belle (leggete TAR per sincerarvene) ma questo dal film non si evince proprio. Williams appare un pompinomane mezzo frocio che invece di sbattersi la moglie superfiga passa le notti in giro a cercare l'ispirazione...
Il senso profondo del film, pare, è che il poeta che vagheggia sempre del passato a causa di questo non sta vicino a moglie e figlio finché non capisce però che anche loro sono importanti.
Se non è cunnilungus sono fellatio. Questo l'epitaffio della più brutta edizione del Festival da quando è nato, il cui demerito va a Muller che, invocando il rottamatore universale, spero proprio scompaia dalla faccia (feccia?)  della terra.
Vedendo film inutili e inconsistenti come questi vagheggio l'idea di costituire un sindacato sui diritti del tempo dello spettatore  Un film deve giustificare il tempo che chiede al suo spettatore  alla sua spettatrice, per essere visto, perché il tempo di tutti ha lo stesso valore e non si possono chiedere 72 minuti per sentire versi declamati come non vanno mai declamati con, l'enfasi di chi crede di dire verità universali.


Il film presentato come novità per essere un film collettivo in realtà meraviglia per l'uniformità di stile delle varie scene (dirette ognuna da uno dei registi delle registe firmatar*). L'unico vero pregio sono attori e attrici. La splendida Mila Kunis James Franco, ma, anche, la sua versione ventenne, Henry Hopper, figlio di Dennis,  che con Franco ha già lavorato in un suo corto e che molti ricorderanno, biondissimo, nell'ultimo film di Van Sant Restless (L'amore che resta) del 2011.


Cosimo e Nicole (Italia, 2012) di Francesco Amato è il quinto film a presentare un cunnilungus, tratto distintivo di questa settima edizione del Festival. Improvvisamente si è scoperto che la fica è buona anche da leccare, questa sembra essere la più grande verità impartita in questo Festival. Cosa verissima ma io non ne parlerei in giro... Al limite la leccherei. E basta.
Il film ha una bellissima scena in cui ricostruisce i disordini di Genova, quando la polizia ha potuto finalmente dimostrare di cosa è capace l'Italia. La solidarietà lascia però subito il posto a una storia di scrupoli morali per un nero migrante clandestino creduto morto e abbandonato per non correre guai che poi si scopre essere in coma no è vivo e non si è fatto niente  Allora i due ragazzi lo portano a Bruxelles e lì vengono arrestati per introduzione nel paese di clandestino (non per il furto del furgone, non è per omissione di soccorso e tentato omicidio perché abbandonare un ferito è tentato omicidio). Il tutto raccontato dal carcere a non si sa bene chi (e il film non ce lo dice) con dei lunghi flashback, talmente lunghi che la struttura narrativa non è affatto giustificata e al film avrebbe giovato un raccorto lineare senza sapere dove la storia li avrebbe condotti. Molte ingenuità nella sceneggiatura per un film che non riesce ad emanciparsi dall'immaginario collettivo televisivo (non a caso sceneggia Daniela Gambaro che ha lavorato a I Liceali II, allora tutto si spiega...). Dispiace questa inconsistenza dello sguardo della macchina da presa che sente il bisogno di poggiare su una trama per raccontare i momenti di una storia d'amore, di un paese, di una cultura dell'illegalità (con inferenze ambigue: il tipo che soccorre Nicole a inizio film quando è stata presa a manganellate in testa e chiama un medico amico suo perché se la porta in ospedale sa che verrà arrestata è poi lo stesso che decide di abbandonare il lavoratore nero caduto dall'impalcatura e addirittura arrivare a volersene sbarazzare quando questi riemerge dal coma come per miracolo, come a dire non c'è differenza tra resistenza civile e illegalità...)  dove il lieto fine alla festa dei fratelli neri dell'incidentato è troppo smaccatamente pittoresco ed esotico e tradisce l'innato razzismo italiano. Peccato perché il film è meno ideologico di altre opere italiane (Alì ha gli occhi azzurri da questo punto di vista molto più  razzista) e perché  come film tv avrebbe anche un suo senso. Ma l'uscita in sala è del tutto ingiustificata.


Dedali animati è l'ultima sèance che ho visto al Maxxi che ha proposto alcuni corti di animazione. I più interessanti quelli di Pino Zac
HOMO HOMINI LUPUS, 1967  HOMO TELESAPIENS Pino Zac, 1968
IL DITO DELL’AUTORITÀ Pino Zac, 1969 e  RADICE QUADRATA Pino Zac, 1969 (10’),
nei quali Zac critica con ferocia iconoclasta la società contemproanea, dalle pubblcità alla tv, dalla finanza al potere costituito con ironia ma senza sconti. Necessari.
Meno interessanti èe più datati il resto dei corti proposti.  retorici e paternalistici quelli di Manfredo Manfredi LA SPACCATA Manfredo Manfredi e Guido Gomas, 1967,  K.O. Manfredo Manfredi, 1969, LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA Manfredo Manfredi, 1971 e DEDALO Manfredo Manfredi, mentre del tutto non interessante, intellettualistico paternalista e vagamente destrorso IL SEGRETO DI VIA SATERNA dai disegni di Dino Buzzati per la regia di Renato Mazzoli, 1970.

Eterno ritorno (Ucraina, 2012) di Kira Muratova condivide la stessa poetica de La danza di Deli. Stavolta si tratta di vari provini di stesse scene, ripetuti più volte,  per un film interrotto per la morte del regista e mostrati alla persona che può decidere se continuare  a produrlo o no. Tra bianco e nero dei provini e il colore della realtà, il film spiazza, diverte, annoia e a differenza de La danza di Deli è squisitamente cinematografico, nelle riprese, nella recitazione, nelle scenografie, nel rècit.



El ruido de las estrellas me aturde (t.l il rumore delle stelle mi assorda)  (Argentina, 2012)
di Eduardo Williams appartiene a quell'estetica perniciosa del frammento post youtube che, chissà perché, chissà come, dovrebbe fare film, di per sé. Così non è.
E nemmeno il film è.



Avanti Popolo (Brasile, 2012) di Michale Warhmann comincia faticosamente seguendo il crinale dell'estetica youtube distaccandosene presto per allestire un film personalistico su un fatto privato che appartiene alla storia di eccidi della dittatura brasiliana. Conclusa la storia on l'ultima donna un figlio torna a casa del padre che vive passivamente in attesa da 30 del ritorno di uin figlio ucciso dalla dittatura. nemmeno alcuni super8 ritrovati dal figlio superstite risveglino il padre da questa apatia (Anche seppure il figlio non  da meno... Quando la padre scompare il cane Balena il figlio non batte ciglio)  . Il film si conclude con le lacrime sofferte del vecchio che dice di non saper più vedere e che tutto è grigio.  
Stile asciutto, ellittico, che non riferisce ma accenna, però vero e struggete, e esilarante in alcune sequenze (come quella dell'amico cineasta seguace di dogma 2002 che ridoppia sequenze di film già esistenti...). La colonna sonora alcune canzoni di impegno nella cultura brasiliana, ascoltate in un programma radio. Tra queste anche avanti popolo che il conduttore radiofonico canta personalmente il disco essendo rovinato e non suonabile... Metafora dell'impegno pilitic, dell'individualismo che ci ha travolto tutt* mentre l'unico impegno praticabile sembra quello del mantenimento della memoria collettiva  e personale.

Un Enfant de Toi (Francia, 2012) di Jacques Doillon è un film che molti connazionali non gradiranno perché impossibilitati a capire una storia che pedina i protagonisti, tampinandoli mentre si inseguono in un gioco della seduzione e del ricordo, tra retoriche alto borghesi e spiazzanti verità detto da bambine tanto sagge quanto piccole (d'età).  Un film che sa restituire quella sacralità laica al matrimonio che molti pretendono abbia perso e relegano solo al matrimonio religioso. Qui invece la figlia settenne sposa simbolicamente i genitori precedetemene separati e rimessisi insieme sulla spiaggia d'inverno. Una figlia di sette anni lucida che si scoccia che la madre, con la quale vive, dividendo i fine settimana col padre e la sua compagna (quella che ha causato la separazione)  rimanga a dormire da lui, perché ha accettato la separazione dei genitori e comprende che entrambi hanno vite con altre persone (di a Gaelle che se vuole può rimanere a dormire dice la figlia al padre sulla sua compagna) ma che non sopporta bugie o falsità. Un film impensabile per un paese biogtto e reazionario come l'Italia dove infatti non è stato capito.
Perle ai porci. 
Nel ruolo del nuovo compagno della madre Malik Zidi, ormai cresciuto, che ricorderete ai tmepi di Gocce d'acqua su pietre roventi di Ozon dell'ormaio lontano 2000.

14 novembre 2012

Festival Internazionale del Film di Roma. Giorno sei

In Igual Si Llueve (Argentina, 2012) di Fernando Gatti, una giornata di un adolescente (bellissimo) viene ripresa e data in pasto al pubblico, tra attese, inquadrature con un discreto ma concreto gusto omo. erotico, senza che succeda nulla. Il protagonista guarda tutto con lo stesso faccino dagli occhi sgranati, imbambolato  silente, sia che si tratti del suo amico, o di uno sconosciuto che canta una canzone nei boschi (e la sentiamo tutta) o assista la nonna malata. Una poetica del pedinamento vuota perché questo film non ha nulla davvero da dire.
E infatti tace.

Full Metal Joker (Italia, senza data) di Emiliano Montanari, è un documentario che partendo da una intervista fatta a Matthew Modine della quale ci viene in realtà mostrato ben poco, indaga sull'attore, sul personaggio (il Joker del film di Kubrick) e la relazione tra i due, presentando allo spettatore italiano un ritratto inedito dell'attore: dal suo attivismo politico mediato attraverso la reinterpretazione politica di Gesù, che secondo Modine sarebbe stato un comunista (anche se, a essere precisi, Gesù sarebbe stato più un socialista che altro visto che non si è mai interessato di plusvalore), senza fornici però davvero una lettura politica del mondo, e nemmeno, a ben vedere, della dualità attore su cui imbastisce tutta la poetica del documentario. Un documento interessante per le informazioni che dà ma la cui lettura che propone risulta naif e, alla fine, marginale che coglie alcune delle premesse della società dello spettacolo di Baudrillard senza però proporre alcuno sviluppo coerente.  Un approccio più politico  e meno religioso al personaggio e all'attore avrebbero giovato sicuramente al documentario.

Della séance di Cinemaxxi proposta oggi (e meno male che avevo deciso di non vederne più) sono stato attratto per il 3d che però non ha riguardato tutti i corti presentati come annunciato nel programma (gli ultimi due non lo erano).

Beato chi riceve la grazia (Italia, 2012) di Margherita Giusti racconta maldestramente di un matricidio per mano del figlio (imbronciato, e maledetto) che, mentre è interrogato dalla polizia  rivive alcuni dei momenti che lo hanno portato all'insano gesto. Il più brutto effetto speciale di sangue mai visto la cinema (vernice rosso vermiglio) e, soprattutto, un 3d ingiustificato e mal usato. Tanti soldi per un esercizio da studente e infatti si scopre, alla fine del film, perché nessuno lo dice, che il corto è stato prodotto dalla Nuct. Tanti mezzi  e nessuna idea.

Pletora 3D è il seme originario della sigla del Festival di quest'anno. In più, nella sua versione integrale presenta altri quadri con un effetto 3d da Wiew Master che ha un suo senso, dove però la ricerca visiva e 3d è più legata alla fotografia o alla performatività teatrale che al racconto o espressione per immagini in movimento.

Plant (2011) Waves e All the Sides of the Road (2012)  sono invece due corti di ricerca 3d del gruppo Statunitense OpenEnded Group
Plant è una istallazione senza sonoro, per due schermi, che esplora la Packard Plant di Detroit, una fabbrica di automobili abbandonata,  rielaborando in 3d qualcosa come 18mila fotografie. Un lavoro notevole che esplora veramente le potenzialità del 3d in chiave espressiva.
All the sides of the Road esplora la matericità della strada asfaltata (la Old Highway 101 in entrata e uscita da  Dewitt, Iowa)  isolandone delle texture che diventano grafiche, texture amplificate dall'effetto 3d trasformandosi in un disegno,  una animazione e interagiscono con un frame sopra il frame sempre con l'ausilio del 3d. Altro lavoro interessante quando, a differenza che da noi, ai mezzi economici si aggiungono anche le idee e la voglia vera di sperimentare.

Ixijana (Polonia, 2012) di Jozef e Mikal Skolimowski
Uno scrittore al primo libro pubblicato dal più grande editore Polacco ha un amico del cuore che gli frega la donna del cuore, che non lo contraccambia. Si sono litigati. Ma lui non ricorda nulla. L'amico è stato accoltellato. Da lui. No. E' vivo. No è morto di overdose. No. C'è lo zampino del diavolo. No. E' solo un altro racconto a casa dell'editore. Ha preso un acido e non ricorda. No. E' la vendetta di una donna. No. Gli hanno rubato il coltello. No. Lei è un'indovina. No. E' tutto un complotto. NO. Dai figli di Jerzy Skolimowski Jozef e Mikal,  uno sciocchezzaio inutile con la profondità del più greve dei fumetti. Tra citazioni velleitarie letterarie  (Il Maestro e Margherita di Bulgacov) e cinematografiche lynch e Polanski il film si perde nei meandri di una trama farraginosa che vuole solo stupire ma non ha granché da dire. Memorabile la soggettiva finale del protagonista che muore mentre recita per se stesso un pater noster. Memorabile anche la bella, ricca, lunga e soddisfacente leccata di fica (uno dei temi ricorrenti del festival, dedicherò al più presto un post tutto suo)  che il protagonista si concede a metà film.

Gegenwart (t.l. Presenza )  (Germania, 2012) di Thomas Heise è un documentario estetizzante su di un forno crematorio che decide di mostrare  senza spiegare, con dei tempi lunghissimi che si accorciano man mano che il film si avvicina alla conclusione. Mancante di qualche spiegazione (come è possibile che i corpi nelle casse vengano manipolati solamente con dei guanti, senza mascherine?) che sono fornite dal pressbook (il forno crematorio garantisce la cremazione a 3 giorni dalla morte ecco perché i copri possono ancora essere maneggiati in un ambiente non igienicamente protetto) il documentario raggiunge il suo scopo che è quello di disumanizzare il processo crematorio e rendere le persone oggetti, macchine. Ma lo fa non da documentario ma come racconto per immagini 
E questa estetizzazione è, s ben vedere, una contraddizione di fondo.
Se la catena di montaggio del forno crematorio è disumanizzante il documentario così sviluppato non è da meno.
Anzi.

Dell'Indi(pend)e(nt) Blackbird (Canada, 2012) di Jason Buxtonpotrei dire che è un film che racconta della normalizzazione di un dark in costumi più borghesi. Che è la storia di un ragazzo che è costretto  a lasciare gli studi (nonostante gli piaccia studiare) e mettersi a lavorare. Che è un film che ha un suo impianto buonista  con lieto fine edificante e una parola di buono per tutti, anche per il minore detenuto con manie omicide. Potrei, ma non lo faccio, perché Blackbird è un vero film con dei veri personaggi, che mostra il percorso di Sean un adolescente rifiutato dalla madre, amato dal padre, che fa innamorare di sé la ragazza più ambita della scuola e diventa amico di un minore, suo compagno di carcere, che ha cercato di ucciderlo, non perché Sean ha il volto e il corpo stupendi del giovane Connor Jessup ma perché è un film vero, con vera carne, e che meriterebbe di vincere il concorso Alice.

L'ultima fatica di Paolo Franchi E la chiamano estate (Italia, 2012) ha la passione del racconto  e della storia che si vuole dire a tutti i costi. Si apre con una citazione de L'origine del mondo Di Courbet (a prestare il ...volto Isabella Ferrari) ha l'ambizione di raccontare l'irraccontabile l'inadeguatezza di un uomo che non riesce  a fare sesso con la donna che (dice) di amare e si concede solo sesso mercenario e donne di coppie scambiste. Ha una struttura narrativa ambiziosa che accanto a eleganti riproposizioni di scene che al secondo passaggio hanno una nuova collocazione temporale cambiando il significato originario, ma scade spesso nell'ingenuità, nell'errore da dilettante, pagando lo scotto di una atavica incapacità di sapere dirigere gli attori - soprattutto il protagonista maschile  Jean- Marc Barr espressivo quanto una statua di cera - complice uno dei  più atroci doppiaggi della storia del cinema italiano,  presentando una morale sessuale che più borghese non si può, dove lo scambismo  l'urofilia, il cunnilingus, la fellatio, sono tutte degradazioni dell'amore, che, si sa è penetrativo e coitale.
Un film schizofrenico pieno di imperdonabili errori ma che rispetto tanti altri film visti al festival almeno prova a dire qualcosa che poi non ci riesca è un altro paio di maniche.

Festival Internazionale del film di Roma: un'estetica conformista

Non so davvero da cosa dipenda. Se dalla facilità con cui oggi si possono accedere ai mezzi di produzione cinematografica, garantendo a tutti (beh a molti più che prima) accesso al mondo della produzione senza una necessaria gavetta; se alla pervasione della tv che ci induce a credere che la registrazione delle immagini senza un gioco esplicito  del montaggio sia di per sé garanzia di verità (come se non ci fosse montaggio nel palinsesto ...) che la narrazione significa riprodurre la realtà così come si crede di averla vista, fatto sta che troppi, tutti (?) i film del festival che ho avuto modo di vedere presentano lo stesso pernicioso e mortale difetto. Si propongono come interfacce cristalline (quando di cristallino non hanno nulla) tra noi e la realtà presentata nel film, sia esso una fiction o un documentario.  Invece di mostrarci  il processo di ripresa e di costruzione del film, visto che oggi abbiamo l'esperienza e la memoria collettiva, in quanto spettatori, per poterlo fare senza rimanerne confusi, i film si presentano tutti come dei mediatori tra noi e la realtà e non già come gli emettitori di un messaggio che si pretende stia altro, a monte, là dove sono state colte le immagini.

Niente di più falso naturalmente visto che nessuno riproduzione come dice la parola è una copia della realtà ma una sua ricostruzione a partire da una precisa ipotesi ricostruttiva della realtà e che insomma invece di collettivizzare questa ricostruzione (in maniera vagamente brechitaina se volete) questi film e documentari ci  vogliono  ancora più passivi e passive e ci  impongono di credere a quel che vediamo perché garantisce la presa diretta - quell'assurda e sciocca idea baziniana che se non c'è montaggio il cinema è più vero - e non il discorso, o l'occhio del regista. Cosa naturalmente falsa (non dimentichiamoci che Bazin era un gesuita...) e sulla quale già Pirandello 30 anni prima aveva scritto pagine illuminanti.
Ma tant'è.
Carrelli lunghissimi dove non succede niente.
Interi film che si presentano, nella scansione narrativa,  con una andamento da film amatoriale  mostrandoci  banali pomeriggi  nei quali  non succede nulla. Al massimo ci si perfeziona nella ricerca fotografia o nella composizione dell'inquadratura.
Per il resto sono tutti film egotisti, auto-celebrativi che non hanno davvero nulla da dire oltre a guarda quanto ce l'ho grosso (non a caso sono fatti tutti da uomini ), cioè, fuor di metafora, guarda io sto comunicando (non già raccontando)  a te e sono quindi un figo della madonna.

So di essere controcorrente e che la maggior parte dei colleghi e delle colleghe penserà che sono vecchio, legato al passato. Io invece trovo loro, voi, naif, se davvero credete che questa estetica da youtube da sola garantisca qualcosa  oltre alla mostruosa mancanza non già di idee ma di cose da comunicare  e tutto si riduce a una mostrazione che si pretende racconto  senza alcuna metafora che lo sottenda o sostenga l'immagine.
Questo non è affatto cinema  ma una mummificazione del reale (proprio in senso opposto al signficato che ne dava Bazin) dove mi si costringe a chiudermi in sala per rivedere male quello che fuori, nel mondo reale, posso vedere  meglio e in maniera molto più soddisfacente.

Diversissimi i film tra di loro eppure tutti non a caso irrimediabilmente proni a una estetica da reality  da diretta tv (nessuno ha mai letto le illuminanti pagine di Eco di 50 anni fa sulla retorica della verosimilgianza della diretta tv?) che proclamano ne momento  stesso in cui pretendono di esser cinema la sua morte.

Ma la cosa che mi dà più fastidio è l'assoluta mancanza di ironia e di autoironia, l'assoluta serietà con cui predono in considerazione le proprie deiezioni e le danno in pasto a un pubblico coprofago che troppo spesso pare apprezzare.



Decreto "salva Sallusti" il carcere per i giornalisti che diffamano resta: la casta unanime protesta.

Avrete seguito il caso Sallusti. Se non ne sapete una ceppa leggete pure qui.

Ora pare che, coi nostri quotidiani è sempre bene non fidarsi,   al Senato sia passato un emendamento al ddl "salva Salllusti" (pensato cioè per evitargli il carcere), con il voto segreto, chiesto dalla Lega e firmato dall'Api, che mantiene il carcere per i cronisti che diffamano (diminuendo la pena massima a un anno dai 6 della legge attuale). 131 sì, 94  no 20 astenuti. Quindi Sallusti in carcere ci dovrebbe andare.
Sallusti è stato condannato per diffamazione (e il tribunale ha specificato che è una pratica reiterata, ripetuta cioè in diverse occasioni), con sentenza passata in giudicato, ma se il ddl avesse depenalizzato il reato, grazie al principio del 'favor rei', avrebbe evitato la galera.


Io continuo a ribadire che chi mente sui giornali (o lascia che altri lo facciano, poco importa) affermando il falso sapendo di affermare il falso al di là di ogni ragionevole dubbio, cioè non esprime una propria opinione per quanto lesiva ma asserisce proprio il falso (si è detto che un tribunale ha costretto una bambina ad abortire, quando la 194 non prevede MAI, in nessun caso, l'aborto coatto) è giusto che vada in galera.

Invece a leggere le dichiarazioni della feccia di delinquenti che ci governa, sono tutti e tutte (vero onorevole Finocchiaro? Onorevole lei? Ma mi faccia il piacere!!!) sconcertat* dall'esito del voto.

Adesso ditemi, come posso votare un partito che ha una posizione così supina nei confronti di un bugiardo per professione come Sallusti?

FinocchiAro e tutto il resto del carrozzone dei Pavidi Democristi, sparite dalla faccia della terra.

Sallusti in galera ci deve andare. Come ha stabilito un tribunale della Repubblica.

13 novembre 2012

Festival Internazionale del film di Roma. Giorno Quinto.



Marfa Girl (USA, 2012) di Larry Clark ha il pregio di spogliare la gioventù americana senza farne occasione di morbosità. I nudi, maschili quanto femminili, non rientrano nell'immaginario collettivo patriarcale dei maschi, etero o gai, ma guardano al corpo degli attori e delle attrici alla ricerca di una genuina costruzione del personaggio.
Bellissime e bellissimi di quella bellezza fatta della verità di una gioventù non ostentata e non eccellente ma media, i protagonisti e le protagoniste del film rientrano in una estetica del corpo che lo spettatore e la spettatrice scoprono di pari passo coi personaggi stessi.
La ragazza cui fa riferimento il titolo è una giovane artista che ha vinto una borsa di studio e che fa esperienza anche di sesso, ma non solo, con tutti i ragazzi che incontra e che le piacciono. Senza reticenze sino a sfociare nella naivetè, chiede ai poliziotti ispano americani che lavorano come guardie di confine se non si vergognano a lavorare per fregare migranti ispanici come loro, ma ha una grande capacità empatica e i poliziotti invece di arrestarla le rispondono con sincerità.
Adam un sedicenne già sessualmente attivo, con la sua ragazza, con una vicina di casa ragazza madre più grande di lui,  parla con lei di tutto. Lei le spiega le gioie del cunnilingus, col quale terrà per sé la sua ragazza senza che questa cerchi altrove,  rovescia la classica considerazione maschilista che vede lecito per gli uomini avere tanti flirt ma non per le donne. Rispondendo ad Adam che si preoccupa che la sua ragazza posa fare un pompino a un altro ragazzo e poi tornare da lui e baciarlo, così che sarebbe un po' come se lui avesse fatto il pompino all'altro, come ha visto fare alla ragazza di un suo amico, che è esattamente quello che alle donne capita sempre ogni volta che fanno un pompino al loro ragazzo che magari lo ha appena infilato nella fica di qualcun altra...  E che, anche se fosse, che male ci sarebbe? Insomma una sessualità agita magari con qualche leggerezza (sia la ragazza di Adam che la vicina di casa sono incinta, niente preservativi a Marfa?). Sesso e canne, in un fine anno scolastico dove Adam viene sculacciato dalla professoressa di storia, per essersi addormentato in classe, ma la cosa diverte lei ed eccita lui, tanto che Adam si fa sculacciare anche dalla vicina di casa, se ti va...
Il tutto incredibile ma vero senza maschilismo, senza forzature, anzi con una leggerezza e una credibilità notevoli.  Poi però Tom il poliziotto bianco e schizzato, separato dalla moglie e padre di un bambino di 9 anni, una sera, dopo avere ingerito dei funghi allucinogeni, si mette a distruggere la stanza del suo coinquilino viene da questi preso a pugni, e trae piacere dal dolore: glielo vediamo duro dopo che è stato preso a pugni, ma ce lo conferma lui stesso raccontandolo alla ragazza del titolo (abusi fisici del padre). lei lo sfotte perché lui è circonciso e dunque prova metà del piacere, per questo le preferisce ragazzi ispanici che con più sensibilità riescono a venire senza stantuffarle per ore come capita ai maschi circoncinsi. Lui si incazza, ci scopa contro la sua volontà, solo qualche colpo secco. Poi esce di casa. Si reca da Adam che già dall'inizio del film vessa i tutti i modi. Lo ammanetta, gli abbassa i pantaloni, gli lecca il sedere, glielo prende in bocca, gli dice che il suo cazzo sa di fica, che deve farselo venire duro perchè vuole bere il suo latte d'odio, poi se ne va a molestare la madre di Adam, che, dice, vuole essere scopata da lui. Adam lo segue, prende il fucile a casa di suoi amici e gli spara in pieno petto uccidendolo appena dopo che la madre si era liberata dalla sua presa al collo con una padellata alla tempia.
Nel finale del film tutti vengono purificati dal canto di una guru ispano-americana che canta per liberare le energie bloccate dai traumi.

Ora dico. Ma perché nei film di questo festival l'omosessualità è sempre agita da pazzi manipolatori (Marfa Girl), ambigui (Animals), violenti (Marfa Girl), (in conflitto coi propri desideri (Goltzius and the Pellican Company) che alla fine muoiono ammazzati (The Lesson of the Devil) o suicidi (Animals)?


Una delle migliori séance MAXXI quella della retrospettiva Italia ha proposto alcuni cortometraggi del centro Sperimentale di cinematografia che danno una impressione veloce, parziale ma significativa su cosa si faceva 40 anni fa nel capo del cinema sperimentale, o di ricerca, potendolo così confrontato con quello che si fa oggi e che ci è stato ammannito col marchio di fabbrica, purtroppo deludente, di Channel 4.

Si parte con due corti di Alfredo Leonardi Libro di santi di Roma eterna, e Vampiro Romano, rispettivamente del 1968 e 1970. per capire l'importanza di questi due corti basta legegre gli interpreti del primo: Romano Amidei, Nanni Balestrini, Sylvano Bussotti, Sandra Cardini, Pierre Clementi, Michelle Coudrai, Giulio Darra, Carlotta del Pezzo, Huguette Elia, Marco Gherardi, Peter Hartman, Ronny Koelling, Jannis e Efi Kounellis, Alfredo, Silvana e Francesco Leonardi, Mario Maglietti, Eliseo Mattiacci, Letizia Paolozzi, Pino Pascali, Ettore Rosboch, Mario Schifano, Mirella Virgili, insomma un bel pezzo di cultura tra cinema musica e arte dell'epoca. Il corto con un taglio apparentemente svagato, da ripresa in superotto, ci mostra momenti della vita del gruppo di amici  tra convivio e costume, tra omo erotismo, in anni certo non facili come i nostri  e ménage familiare, costituendo nel suo dipanarsi una risposta forte e personalissima alla morale borghese.
Vampiro Romano segue una giornata di un giovane allampanato, che porta con disinvoltura un lungo cappotto color canarino: dalla spesa a campo di fiori alle visioni fantasmatiche di un vampiro con la complicità di un uomo anziano - che usa la dentiera come monstrum per spaventare il pubblico- la ricerca ardita dei costumi (pre Renato Zero) con l'impiego di bigiotteria che veste le parti intime del protagonista e un amico, dai fori della quale emerge un folto pelo pubico, nerissimo e alcuni estratti dello spettacolo A come alice con e di Manuela Kusterman Vampiro Romani si f testimone di un clima, di un periodo, dello stimolo a fare le cose in un certo modo che oggi sembra irrimediabilmente perso. Meno interessante, o forse solamente più datato, The Box of Life di Federica Mangoni (1979 che già è fuori da quel certo clima di ricerca dei settanta e già dentro l'edonismo degli imminenti anni ottanta, tutto incentrato sulla costruzione di una maschera da indossare, e poi di nuovo illuminanti gli ultimi tre corti, i più didattici, da quello sulla storia della maschera nel teatro,  La maschera e l'attore di Marcello Grottesi, 1973, al bellissimo Esperienze in uno spazio non teatrale di  Marcello Grottesi, Paolo Matteucci, 1968 nel quale mentre una poetica performativa e politica viene dichiarata vediamo l'intervento in diversi spazi pubblici con il coinvolgimento del pubblico di diverse attività performative fino all'altrettanto illuminante  Performance nel quale la pratica performativa vien spiegata con una chiarezza esemplare, portandola sino alle sue estreme conseguenze parapsicologiche (in un periodo in cui la parapsicologia aveva ancora una certa base di serietà parascientifica). Un programma bellissimo, che mostra alcune delle perle che il centro Sperimentale e la Biblioteca Nazionale nascondono e che chissà cos'altro offre, basta sapere cercare.

1979 - the box of life from federica marangoni on Vimeo.


Poi una sorpresa voluta da Mr. Greenaway, che ha organizzato un concerto gratuito con gli Architorti
un quintetto d’archi di formazione classica: due violini, viola, violoncello, contrabbasso che da anni collaborano, tra gli altri, con Greenaway per tutti i suoi film. Una esperienza unica, per farvela intendere, una contaminazione tra Quintorigo e Michael Nyman (to put it simply).



Mai Morire, (Messico, 2012) di Enrique Rivero racconta con dei tempi lenti, ma non troppo, de ritorno della figlia più giovane a casa dell'anziana madre per assisterla fino al momento della  morte. Tra culti dei morti (in una festa si prepara del cibo per loro, aspettando che ritornino  nipotini che non si capisce che stiano a fare là, con un padre che non si comporta proprio come tale, il film ha i suoi punti di forza in una fotografia meravigliosa che rende ogni inquadratura un quadro, ma per un film che lascia troppe cose non dette, facilmente capibili, presumiamo da chi conosce la cultura messicana, ma enigmatico fino alla reticenza per chi ha un mero occhio occidentale, come chi scrive. La frustrazione per non poter apprezzare fino in fondo scelte, gesti, espressioni  dei protagonisti che ci arrivano solamente tramite il solito gusto esotico (non tanto nel film quando in chi lo ho scelto per portarlo in concorso)  per il paesaggio  naturalistico e per la casa di latta veramente da poveri sottosviluppati che all'occhio etnocentrico di noi occidentali non può che diventare   pittoresco ed  edificante va di pari passo con l'estetica pseudo documentaristica del film che sembra essere l'unica macrocoordianta di un festival davvero povero di sorprese.

Ultimo film della giornata (dopo essere uscito prima da Sono entrato nel mio giardino, unico film, so far, al quale mi sono sottratto) Photo, una storia molto letteraria e poco cinematografica che pure ha una una forza nelle immagini visto che le foto hanno una certa importanza nella trama.
Una figlia alla morte della madre alla quale somiglia come una goccia d'acqua scopre che il padre non è l'uomo che l'ha cresciuta e nel cercare di incontrare gli amanti della madre incontra una serie di personaggi  grazie l'aiuto di un giovane, figlio di secondo letto con uno dei padri possibili della ragazza. Scandito da cartelli neri coi nomi dei vari personaggi la ricerca è storica quanto personale e mostra come la figlia sia davvero simile alla madre. legata a un uomo da sette anni sconvolta dalla sua improvvisa proposta di matrimonio alla fine la protagonista decide di accettare (o, almeno, di tornare dall'uomo che l'ha chiesta in sposa) dopo essere andata a letto con un possibile (ma improbabile) fratellastro libertina come lei.
Tra i personaggi anche un ragazzo che si è innamorato di un'altro del gruppo il quale, indovinate un po'?, è finito in manicomio in preda a paranoia (anche se le vicissitudini che hanno portato alla morte di uno dei ragazzi del gruppo giustificano la malattia dell'uomo). Un film tipicamente da festival che però sa farsi vedere e rimane in testa, forse meno nel cuore.

La deficienza della storia. Su una collega a dir poco sprovveduta.


Capita che annullano una proiezione stampa.

Cioè non è che l'hanno annullata è che c'è una discrepanza tra il programma accreditati ufficiale, quello stampato, e l'elenco giornaliero che ti danno in sala stampa.

Così il film che pensavi fosse alla sala Lotto alle 11 in realtà è in sala Petrassi, alle 10 e 40.

L'hai perso per un soffio e non potrai recuperarlo.

Colpa tua, naturalmente, che non ha controllato bene.

In realtà la discrepanza c'è sempre stata perché sul foglio delle anticipate stampa c'è sempre stata la proiezione alle 10 e 40, ma tu non hai chiesto né è mai stato emesso un errata corrige. Quindi non solo colpa tua. Ma comunque colpa tua.

Amen.

Poi incontro un amico con una sua amica, li informi della "cancellazione" (evidentemente non sei l'unico ad essere stato tratto in inganno) e molto sorangelinicamente tu, cioè io, a cicciona paesanina, si augura che Muller l'anno prossimo al festival non ci sia.

Questa amica del tuo amico,  una donna, bionda, mechata, bella, sui 35 andati, ti conforta e ti dà ragione.
Io sto cercando di combattere perché Muller vada via ti dice.
Mal comune mezzo gaudio.
Poi aggiunge.
Anzi io sto lottando perché questo festival chiuda.
Resti di sasso.
Mal comune fessi in due*.
Il tuo silenzio è una domanda implicita che viene colta.
Perché è un festival sbagliato conciona
Ora la tua faccia è un enorme punto interrogativo. 
Perché è un festival politico. Ti "spiega".  Non era un festival voluto dai romani, ma nato per esigenze politiche. 
Io le rispondo, come Venezia nato per far andare gente al Lido di Venezia dove De Calboli non faceva soldi. E' storia. Le dico. Studia.

La morale di questa storia?
Mai sorangelinare con gli sconosciuti. Soprattutto se sono matte come questa pazza che dice che vuole far chiudere il festival che non è voluto dalla ggente, ma intanto ci viene.

Ecco, mi chiedo. Gente così è venuta su in seguito  a Berlusconi o Berlusconi è rimasto al potere grazie a gente così?

*Versione venezuelana del nostro proverbio, molto più calzante.

12 (american song book) il nuovo album di MIna


Mina 12 (american song book)
Il nuovo disco di Mina contenente 12 standard della canzone americana e 12 copertine una per canzone, ispirate alla discografia jazz dagli anni ’30,  disponibili con la prima tiratura. Mina è accompagnata da Danilo Rea al piano, Alfredo Golino alla batteria, Massimo Moriconi al contrabbasso mentre Gianni Ferrio ha arrangiato tre brani con gli archi.

Tra i brani scelti, ce ne sono alcuni già incisi da Mina, come “Love me tender” di Elvis Presley, pubblicata in “Caterpillar” del 1991, “I’m glad there is you” e “Everything Happens to Me”, che è alla terza incisione, dopo una prima degli anni 60 e una seconda contenuta in Lochness..

Nell'album di ballad si passa con disinvoltura alle atmosfere swing di “Just a Gigolò”, versione americana di un hit austriaco degli anni 20, e ”Banana Split for My Baby”, a “I'll Be Seeing You" una popolare canzone tratta dal musical “Right This Way”
del 1938, da "September Song" di Kurt Weill a “I've Got You Under My Skin”, scritta da Cole Porter per “Born to Dance”, candidata all’Oscar nel 1937, che Mina aveva interpretato in una fantasia musicale a Studio Uno nel  1965.

Vista la data di uscita dell'album non poteva mancare una canzone natalizia: l'evergreen “Have Yourself a Merry Little Christmas” dal film “Incontriamoci a Saint-Louis” (Meet Me in Saint-Louis), ripresa più volte con maggiore successo da Frank Sinatra e “Over the Rainbow da “Il mago di Oz” del 1939 entrambe originariamente interpretate da
Judy Garland.

Non mancano due ripescaggi più vicini a noi: “Anytime anywhere” dei Gotthard, risalente al 2005 e “Fire and Rain”, un hit del 1970 di James Tylor che la rivista specializzata Rolling Stone ha messo al 227 posto nella lista delle 500 canzoni di tutti i tempi.

Tracklist:
I’ve got you under my skin 
Just a Gigolo 
I’ll Be Seeing you 
I’m glad There Is You 
Have Yourself a Merry Little Christmas 
Anytime Anywhere 
Fire and Rain 
Over the Rainbow 
Everything Happens to Me 
Love me tender 
Banana Split for My Baby 
September Song

12 novembre 2012

Corsicato, la merda e Almodovar. Il quarto giorno della settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.



IL VOLTO DI UN'ALTRA (Italia, 2012) di Pappi Corsicato, che uscirà il prossimo febbraio,  porta una ventata di divertissement a un fstival ingessato, che si prende terribilmente sul serio e che, so far, non sa cosa sia l'ironia, figuriamoci l'autoironia.
Pappi invece si muove a suo agio tra citazioni visive di Almodovar (le bende che coprono le ferite degli interventi chirurgici estetici della clinica dove si svolge il film) e la merda dei Monthy Python del celebre Il senso della vita per denunicare la soceita post valori post tutto ocntemporanea fatta sempre più che mai dell'apparenza e dei soldi. Un film esile, vacuo ma che ha proprio nella sua esilità il punto di forza. Una commedia insolita per ilpanorama italinao un ritorno in grande stile per uno dei registi meno apprezzati del recente cinema italiano.

Suspension of Disbilief (Gran bretagna, 2012) di Mike Figgis parte da un presupposto falso e ci sviluppa l'intero film. Il protagonista maschile, alla domanda di uno dei suoi studenti di un corso di sceneggiatura perchè ci appassioniamo delle storie che vedimao al cinema anche se sappiamo essere finte, risponde dicendo che il nsotro cervello non sa distinguere il falso dal vero.
Niente di più sbagliato!
Il motivo vero per cui psicologicamente siamo disposti a credere vere le cose che sappiamo essere finte non è nemmeno l'imedeisimazione voyeristica che voleva Mtez in un famoso (e ormai dimenticato) libro su Cinema e psicanalisi, del 1977 pubblicato in Italia da Marsilio nel 1980.
Il vero motivo è il fatto che il cinema ci pone nella posizione privilegiata di oesservare i gai e ipericoli che subiscono i perosnaggi potendo godere nel bene e nel male delle cosneguenze senza davvero correre il pericolo. Un concetto nuovo? No, ne parla Lucrezio quando parla dell'orrore ma anche del paicere col quale osserviamo l'aultri naufragio quando siamo ormai al riparo in un'isola...

Il film sviluppa la premessa e ci racconta una stroia di omcidio senza darne una soluziione, dimostrando che un film ci appassiona anche quando non è vero. Slittando semnaticamente dal non vero della finzione al non vero di una stroia raccontata che non ha conclusione.
Ambiguo, noiso e prevedibile, il film risente anche di un certo maschilismo senile, dove le donne si mostrano nude senza un effettivo bisogno che non sia quello del piacere dei maschi, del film e in sala, i giovani registi si fanno fare fellatio dalla protagonista del film, dicendo loro di dire che sono la bambina di papà (mma quando il regista trona con la fidanzata ufficiale la protagonista ci rimane male), o, infine, dove le donne si concenono notti di sesso appassionato per poi risolvere il tutto dando la colpa all'alcool.
Un film vechio nell'idea  e nella fattura, ma che figura bbene in un Film festival eseendo esattamente uno dei prodotti che forse qui più che in una regolare distribuzione trova una sua vera ragioen d'essere. Quel che manca alla stroia è infatti un perosnaggio che possa dirsi tale (nonostante il professore di scneeggiatura dica giustamente che i personaggi fanno parte della trama). Ma qui tutto è ascritto nei topoi più stantii di un genere come il giallo che non viene davvero consumato, rimanendo un insopportabile coito interrotto, narcisista e sterile.



Juenesse (Francia, 2012) di Justine Malle figlia di Louis Malle, quello di Arrivederci ragazzi è il primo film di fiction della documentarista, insegnante di filosofia (e nel film c'è un bell'estratto di una lezione su Leibniz) e critica cinematografica. Un film autobiografico, che racconta della ventenne Juliette  (Esther Garrel, figlia di Philippe) alle prese con la propria vita, tra primi amori con giovani ragazzi alternativi (e pavidi) il vivere con un padre che ha avuto figli da tre donne diverse, la carriera scolastica. Una vita normale sconvolta dalla notiza di una malattia degenerativa che le porta via il padre abbastanza in fretta.
Tra emancipazione sessuale (il ragazzo con cui ha deciso di fare sesso la prima volta si tira indietro perché  lei  non lo ha mai fatto - lui le chiede di levargli la maglietta e lei dice di non essere capace a farlo-, fanno sesso più tardi ma poi lui la ignora; lei si concede a incontri occasionali comportandosi esattamente come lui..., subito dopo aver appreso della morte del padre chiede a uno sconosciuto sul treno di baciarla, e il 40enne porco e marpione si sacrifica) il cui mondo viene sconvolto quando il padre viene colpito da una grave malattia degenerativa (Louis Malle è morto nel 1995, per un linfoma, quando Justine aveva 21 anni).

Il film a low budget (300 mila euro), non ha il suo nucleo nel ritratto di Justine Louis Malle, quanto nella capacità di raccontare ancora oggi la vita di alcuni personaggi con un gusto e una sensibilità post nouvelle vague, riprendendone alcuni topoi (il cinema di periferia di Truffaut, i dialoghi tra il minimalista e il filosofico di Rohmer) descrivendo con grande eleganza e sensibilità la vita (alto) borghese di una ragazza di oggi. E forse qui sta anche il limite del film. 

Altro ragazzo carino del cinema francese.


Tasher Desh (India, 2012) di Q (Kaushik Mukherjee) è la trasposizione in pellicola della celebre Opera omonima di Tagore (sì, quel Tagore, premi nobel per la letteratura nel 1913) che scrisse testo e musica.
L'opera è una metafora dei rapporti rigidi dell'India della sua epoca, con le caste e il conformismo di impianto british. La storia racconta di un principe e un suo amico che, alla ricerca della propria rinascita nella verità e nella libertà, evadono dalla gabbia d'oro in cui vivono, approdano in un'isola popolata dalle carte (quelle di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol) e vengono accusati di eresia e blasfemia. Prima di essere arrestati mettono e il seme del dubbio nella rigida società delle carte e quel rigido e separato mondo si rompe grazie all'amore che, come un seme a primavera, fiorisce in tutte le sue forme, uomini amano donne, donne amano donne e uomini amano uomini. Un film dall'andamento lisergico che ricorda nella potenza visiva il Romeo + Juliet di Buz Luhrman ma che ha una sua autonomia registica musicale e tematica. Splendido il doppio registro cromatico, b\n versus colore, le scelte dei costumi, le soluzioni visive per fare interpretare a uomini  e donne le carte nei quattro semi francesi, bellissime le ragazze e bellissimi i ragazzi interpreti, sensuali le scene d'amore senza essere smaccatamente erotiche. Un film da vedere ma anche da capire non come fa Nino Tripi su nannimagazine che non capisce nulla e, omofobicamente, arriva a dire che dopo l'intervento del principe la scoietà delel carte è una società fatta di sodomiti, oppiomani, perdigiorno capaci solo di cogliere fiori in giardini proibiti.






Parlare di Greenaway in poche righe è una impresa inane, eppure mi tocca provarmici.
Goltzius and the Pelican Company (Paesi Bassi, 2012) è un'esperienza visiva unica nel suo genere nella quale si racconta di Hendrik Goltzius un tipografo olandese del tardo Cinquecento, stampatore di libri, impresario teatrale (è col teatro che sostiene la sua stamperia di libri) che vorrebbe darsi alla stampa di immagini. Goltzius chiede soldi al Margravio di Alsazia in cambio gli promette uno straordinario libro di dipinti e illustrazioni di storie bibliche del Vecchio Testamento. Il Margravio ottempererà se Goltzius intratterrà la corte per 5 serate illustrando temi dell'antico testamento. Comincia così un percorso ipertestuale tra storia dell'antico testamento, immaginario erotico della bibbia, sue ripercussione nell'iconografia europea, considerazioni teologiche sul dio dell'antico testamento e sulla sua morale sessuofoba, illustrando cinque (ma diventano sei) tabù della nostra società (dal voyerismo all'incesto) mentre gli attori di Goltzius in scena si denudano e si propongono in amplessi per dilettare il Margravio.
Nonostante la libertà di parola le considerazioni fin troppo laiche di Goltzius e dei suoi accoliti creano scandalo nei rabbini e nei preti protestanti che assistono alle varie messinscene  e il potere si dimostra come al solito violento e masochista.  Tra uccisioni, castrazioni, rapporti anali, omofobia e misoginia il film illustra i deliri di una religione doppia (cattolica versus protestante, antico testamento versus nuovo testamento) che, per citare una ragazza conosciuta al festival, se mai il film uscisse in Italia, sarebbe vietato ai minori di ottocento anni. 
Nel finale Goltizus si vendica sul potere patriarcale di margravio tornando alla sua corte col suo compagno (ammiccando a una omosessualità tradita sin dall'inizio dai segni esteriori della cultura queer contemporanea biacca, orecchino e labbra vermiglie) ora che il Margravio è diventato pazzo e malato (vermi gli escono dalla bocca e dall'ano) ma la compagnia del Pellicano di Goltzius ha pagato sin troppo caro un diritto alla parola concesso e poi negato: affogati, accecati, castrati.

Personalmente non ho digerito il riferimento all'omosessualità mistica e coniugata col sadismo del prete protestante che prima chiede di essere picchiato e poi viene inculato prima di essere ucciso al grido di frocio. Le uniche relazioni gay che Greenaway sembra conoscere sono quelle dell'ecceso sadomaso o queer, mentre lascia la normalità borghese della rappresentazione del sesso esclusivamente all'eterosessualità.

 Molto bella una scena in cui mentre fa sfoggio di una erezione tenera e non ostentata un giovane attore (tanto nel film quanto del film) viene sedotto dalla compagna in una inversione giocosa di ruoli che omaggia l'eterosessualità emancipandola dal patriarcato da cui viene diffusa. Lei prende lui senza che nessuno si senta costretto in alcun ruolo sessuale se nonq uello del proprio corpo diversamente sessuato.
Ecco mi sarebbe piaciuto che lo stesso fosse stato fatto anche per l'omosessualità.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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