10 novembre 2012

Festival Internazionale del film di Roma giorno due

Una mattina all'insegna dei cortometraggi prodotti nell'ambito di Guimaraes capitale della cultura europea. 


Bird (Portogallo, 2012) di Gabriel Abrantes ambientato a Jacmel, tropicale città haitiana, racconta di tre ragazze che assistono a una messa in scena de Gli Uccelli di Aristofane. Alla critica di due haitiani che non concordano con il sincretismo che paragona Dioniso a una loro divinità e che ricordano come fondamentale il non dimenticare della deportazione che li ha visti ritrovarsi ad Haiti. Intanto le tre ragazza e ascoltano una storia prima curiosa e poi dolorosa di un vecchio che descrive prima come la moglie gli sia stata trasformata in capra (tanto che adesso me la devo sempre portare appresso.... è un peso per me) e poi di come la moglie capra si sia sacrificata non per la salvezza di un poeta (io non so leggere...) non per la salvezza di tutte le persone di Haiti (da quando sono capra gli esseri umani non è che mi interessino più  di tanto) ma per la salvezza di tutte le cose. E ora che lei non c'è più lui è triste.

Un cinema altro, davvero di ampio respiro, anche nelle bene scene in campo lunghissimo, dove esiste una vita altra da quella occidentale e dove la contaminazione con la cultura greca, ritenuta di esclusivo appannaggio continentale, non solo è possibile ma praticata.
Indimenticabile.

Ne A Mesa ferida (Portogallo, 2012) di Marcos Barbosa  un gruppo di giovani attori e attrici messicani si reca a  a Guimaraes per portare uno spettacolo su Frida Kahlo.
Tra le prove in patria, tra ingerenze dei federali e dell'esercito e sogni su come sia la vita in europa (tranquillo è solo il Portogallo non è L'europa...), tra divergenze artistiche e diversi gusti gastronomici, tra confronti culturali (l'autista portoghese ha una immagine del Messico molto da cartolina...) l'interprete di Frida, durante  lo spettacolo,si interrompe per criticare il pubblico che è la convenuto  a vedere uno spettacolo su Frida e farsi qualche canna mentre il suo paese è in mano a narcotrafficanti, il suo paese di origine non esiste pi e dunque non può nemmeno tornare a casa e nessuno si unisce alle proteste londinesi. Poi lascia il palco. Il pubblico resta impassibile non sapendosi decidere se l'incidente faccia parte dello spettacolo o no. Intanto scorrono i titoli di coda. Poi il regista dello spettacolo chiede scusa per il problema tecnico che spera di risolvere subito...
Altissimo esempio di come il cortometraggio è una forma ideale per dirimere questioni, raccontare storie, fare riflettere  rappresentare visivamente la posizione del pubblico nel teatro contemporaneo e l'indifferenza politica alla realtà per una forma di intrattenimento incancrenitasi nella separazione borghese tra platea e scena. Il migliore corto visto so far al festival.

Der Schlingel (Portogallo, 2012) di Paulo Abreu vorrebbe essere un omaggio al cinema muto espressionista ma ha troppe incongruenze  (carrelli in un cinema invece essenzialmente statico) tradendo un velleitarismo che si perdona se il coro  fosse il saggio di diploma... Tra frati impazziti e dediti al male per effetto dell'avvenenza di una donna (che però indossano scarponi..) donne maliarde diavoli e streghe, il corto si dilunga senza una vera ragione d'essere...


Il secondo gruppo di corti presentati in una unica séance, tradiscono tutti lo stesso difetto di fondo. Sono progetti non nati con una propria esigenza narrativa, sostenuti dai soldi della comunità europea, ma progetti nati dal fatto che la comunità  europea aveva dei soldi da dare... I risultati son occasionali,  velleitari  marginali, e imbarazzanti.
Si va da O Dom Das Lagrimas di Joao Nicolau   (nel quale alcune preghiere cattoliche antiche vengono coniugate coi toni di una fiaba che racconta  di principesse che piangono, il tutto ambientato tanto nella  città moderna quanto nei boschi...) a due documentari rispettivamente sulla musica (Vamos Tocar Todos Juntos Para Ouvrirmos Melhor di Tiago Pereira) e le feste patronali (O bravo Som Dos Tambores di Joao Bothelo) girati con  imperizia antropologica, etno-musicale e cinematografica.
Questi corti hanno almeno il pregio di sottolineare che bisogna cambiare il criterio di distribuzione dei soldi pubblici che non possono essere la causa prima di progetti culturali altrimenti inesistenti ma che devono sostenere progetti esistenti per una propria forza autonoma. Insomma più cultura e meno industria culturale per favore!


O FANTASMA DO NOVAIS (Portogallo, 2012) di  Margarida Gil, racconta di
Ana che ha vinto una borsa di studio per compiere una ricerca su Joaquim Novais Teixeira, scrittore e intellettuale portoghese esule, per via della dittatura, morto a Parigi nel 1972. Nel film le interviste sono già tutte fatte, Ana deve solo assemblare il materiale e per questo chiede aiuto alla sua amica Sofia mentre trascorre  le giornate a Guimaraes col fidanzato dormiglione e scansafatiche Jacinto.
Film delicato e fondamentalmente riuscito, nel quale attraverso le vicende di Ana e Jacinto la regista ridà vita alla profonda umanità di Novais, così come viene testimoniata dalle persone che Ana ha intervistato, che lo hanno tutte variamente conosciuto. Poco il film ci dice dell'intellettuale molto invece dell'uomo costretto a una continua fuga di Nazione in Nazione mentre ognuna di esse cadeva in mano alla dittatura fascista, quella natia per prima poi la Spagna tanto amata e infine il Brasile, dove Novais apprezza nonostante tutto  la mitezza della dittatura locale, fino all'esilio in Francia.
Così mentre Ana e Jacinto vivono la vita spensierata, disimpegnata ed economicamente precaria della contemporaneità, il passato ci compare in tralice per ricordarci delle vicende del secolo appena scorso e di come la curiosità sia l'unica arma critica che ancora ci rimane. Molte le soluzioni visive e narrative eleganti e lontane dal gusto italiano: il vestito, regalo di compleanno di Ana,  che Jacinto prova mentre un sarto anziano glielo cuce addosso (sottolineando le maestranze artigianali che stano scomparendo dappertutto), gli interventi in costume antico dinanzi alcuni quadri, come la filastrocca che i due fidanzati recitano per la cinepresa; la comparsa di una fantasma che incarna una delle donne amate da Novais (grande dongiovanni) che ha una polivalenza tra ironia, memoria storica e sentimento; una grande capacità di cogliere l'umanità intergenerazionale della cittadinanza (dalla ottantenne che sprona il giovane e sonulento Jacinto a lavorare, lui così giovane e bello agli operai che smettono di lavorare, durante i titoli di coda, per permettere ad Ana di registrare i rumori di fondo).
Un film delicato ed esile perfetto per il festival e splendido esempio alternativo di cinema portoghese del quale O Fantasma de Novais è uno speciale omaggio (spaziando da Las Hurdes – Tierra sin pan di Luis Buñuel a O Cerco di António da Cunha Telles, dal Francisca di de Oliveira a Macunaíma di Joaquim Pedro de Andrade.).

La prima séance di cortometraggi visti al Maxxi per la sezione omonima pessimi, dilettanteschi e esteticamente inconsistenti la dice lunga sullo stato dell'arte quando questa si coniuga col cinema. Sarà che da smepre chi scrive è insofferente dell'aleatorietà e la non scientificità della critica d'arte, autoreferenziale e verbosa otre che iniziatica (nei termini usati d'uso non comune ed elitario) ma lascio giudicare a voi.

Ne Because This Is Britain di Martha Rosler (Gran Bretagna, 2012), i discorsi del premier David Cameron, vengano presentati mentre scorrono su una striscia grafica mossa in animazione davanti e dietro alcune delle foto degli attentati che ha subito la Gran Bretagna. Nei discorsi l'accusa per questi ragazzi delinquenti di essere stati abbandonati dai padri (non dalla famiglia ma dalla figura maschile l'unica per Cameron, evidentemente ad poter dare loro la disciplina che manca). Nessun contributo critico al contenuto dei discorsi solo una ricerca visiva di bellezza mentre passano i concetti più maschilisti e di destra. Produce, rea, Channel 4.

In Dangerous Games (Gran Bretagna, 2012) di Marina Abramovic la tanto osannata artista da una critica smepre più provinciale e autoreferenziale, alcuni bambini e bambine cambogiani, vestiti in mimetica, giocano con delle armi giocattolo simulando battaglie, esecuzioni, morti. Inquadrature che virano per una ricerca visiva dell'inquadratura, quasi da fotografia. Alla fine le armi vengono bruciate. Chiaro e didascalicissimo messaggio ma nulla ci è dato sapere su questi bambini. Dove siamo? Chi sono? Perchè sono vestiti da militari? fanno parte di una scuola militare? Oppure sono stati vestiti così dall'artista\regista? Ah saperlo.
Produce, rea again, Channel 4.


In Nao Estamos Sonhando (Brasile, 2012) di Luiz Pretti un giovane conciona, citando un architetto degli anni 20, sui grattacieli cattedrali della modernità giocando con l'assenza di sonoro prima e un sonoro invasivo e rumoroso che poi si immagina di distruggere i palazzi grattacieli muovendo la camera per simulare l'esplosione di bombe immaginarie di cui sentiamo il sibilo. Un ragazzo al laboratorio di cinema del liceo avrebbe saputo fare meglio. In tutto il corto il vero protagonista è un costosissimo registratore digitale professionale.  

In Rhinoceros (Usa, 2012) di Kevin Gerome Emerson un giovane con un timido accento straniero ripete il discorso fatto da Alessandro Medici ai fiorentini, coniugandolo con quello fatto da Gheddafi, davanti un microfono, ripreso in b\n con una videocamera analogica. Alla fine vediamo il dietro le quinte, finto anch'esso. Altro compitnio striminzito nel quale si instaurano facili e immediati parallelo tra il potere costituito di una volta e quelli contemporanei.

L'ultimo e più terrificante di queste merdine di cortometraggi Mitote (Messico, 2012) di Eugenio Polvosky mostra per 50 interminabili minuti le riprese amatoriali e aleatorie di un turista nella piazza di Città del Messico mentre su un megaschermo si mandano le immagini dei mondiali. L'occhio razzista della telecamera riprende tifosi e tifose, alternando queste immagini alle maschere azteche di un museo instaurando dei paragoni lombrosiani tra le dichiarazioni (chi non salta gay è) i comportamenti (le urla per i goal) e le espressioni di giubilo del pubblico che si cura solo del mondiale e non dell'umanità varia che in piazza manifesta contro la privatizzazione della compagnia elettrica con uno sciopero della fame, curano le malattie con la medicina tradizionale (come la definisce il regista, presente in sala), mentre perfetti sconosciuti azzardano letture politiche sulla storia del paese senza sapere quali competenze hanno,  a quelle delle maschere, deformate da ghigni, occhi sgranati ed espressioni strane.

Trovo davvero insopportabile questo approccio alle immagini che crede che la spontaneità del materiale girato abbia forza sufficiente per imbastire un discorso critico che parta dalle immagini e che invece rimangono l'unico centro comunicativo, in una ricerca del bello davvero dilettantesca e indietro rispetto al cinema ufficiale di almeno 50 anni. e che una delle curatrici ha scomodato Chris Marker paragonando queste merde di corti presentati la dice lunga sulla vuotezza critica di chi fa il festival oggi. Intervengo criticando l'estetica da youtube di questi film. Nessuno risponde alla domanda che pongo. Però molti del pubblico, fuori dalla sala, mi ringraziano (davvero!) o si complimentano per il mio intento. Il pubblico è avanti alla presunzione di questi artisti che non sanno nemmeno togliersi tutta la lanugine che hanno nel proprio ombelico scambiandolo per il mondo.
Da vomitare.


Nebesnye zeny lugovykh Mari (t.l. Spose celesti dei Mari della pianura) (Russia, 2012) di Alexey Fedorchenko ci racconta attraverso 23 brevi ritratti di donne, del popolo Mari*, in una sorta di novello Decameron sospeso tra magia e realismo in cui traspare la tradizione corale di un popolo.
Il film ci mostra tradizioni e comportamenti che noi non conosciamo e che leggiamo come stravaganti, buffi, pittoreschi. Sul sentimento etnocentrico prevale però quella grazia leggiadra di una popolazione ancora in contatto intimo e profondo con la propria storia. Donne e ragazzi bellissimi, che si sposano per potere fare sesso, dove le donne, appena hanno il menarca, soffiano in un lungo corno per avvertire i maschi del posto di essere sposabili, dove la saggezza popolare si coniuga con la superstizione, il panteismo, il rispetto della natura e del soprannaturale d el diverso, osteggiato per gelosia (Come quando una donna-mostro chiede di poter fare l'amore col marito di una delle donne e questa le risponde mio marito dopo che lo ha messo dentro di te lo deve rimettere dentro di me?), dove insomma gli uomini sono al potere sì ma, come si giustifica smepre ogni patriarcato, è la donna che da dietro manovra. E pensare che nel catalogo il film è presentato con queste parole: Se non fosse diretto da un uomo sarebbe il primo film di
realismo magico femminista post-sovietico...
Peccato che l'immaginario visivo è totalmente maschile a cominciare dal fatto che nel film solo le donne si spogliano e mai gli uomini (e sì che alcuni dei ragazzi meritavano). Ma sì sa vatti a fidare dei cataloghi...

 * Mari delle Pianure sono una delle più grandi comunità ugro-finniche, gli unici ad avere conservato la tradizione della preghiera collettiva nei boschi, un semplice rito in onore dei karti, i sacerdoti locali.

Stessa sorte per IL GIOCO DEGLI SPECCHI (Italia, 2012) di Carlo di Carlo Italia (e Flavio de Bernardinis che firma la sola sceneggiatura) che viene presentato come Un ritratto della società italiana dal 1945 al 1983, attraverso il suo rapporto con il cinema: se e come la società italiana ha considerato il cinema un luogo dove poter
riconoscere, scoprire, interpretare le proprie caratteristiche
e invece si svela essere un modesto film di montaggio sui filmati luce (quelli che probabilmente costituivano i cinegiornali, ma questo il film non ce lo dice. Stesso enorme difetto dei film Maxxi, mancanza di apparati critici. nessuna critica al modo in cui i fatti sono presentati (l'esordi alla regia di Pasolini criticato paternalisticamente perchè Pasolini all'epoca era scrittore e non regista...) dove la regia nel senso della scelta dei materiali e del loro montaggio è occulta e mai esplicita di modo che si ha l'impressione che tutto si svolga di per sé senza che ci sia una mano che abbia scelto e organizzato i materiali con la stessa inferenza implicita che sottendeva blog di Ghezzi. Interessante per i materiali scelti ma come operazione culturale inutile e anche pericolosa perchè relega lo spettatore a consumatore di un palinsesto cucito per lui da qualcuno che si nasconde e non si prende mai le responsabilità di quanto va presentando senza apparati alcuni.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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