8 agosto 2011

I buoni divulgatori sono solo quelli di una volta. Su uno splendido articolo di Piero Bianucci su La Stampa

Ho avuto il pallino dell'astrofisica sin da quando ero un bambino, guardare le stelle mi faceva provare una sensazione di mistero e rammarico. Mistero per tutto quello che ancora non sappiamo sull'universo le sue origini e la sua evoluzione e rammarico per non essere lì il giorno che scopriremo come stanno davvero le cose (cioè mai in un futuro potenzialmente infinito...). Osservare le stele (sono stato anche astrofilo...) considerare l'enorme immensità dell'universo, il suo vuoto, il suo freddo silenzio (nello spazio non 'è aria quindi non si sente alcun rumore) la sua maestosa indifferenza per le umane vicende non mi hanno mai fato sentire piccolo e insignificante come vuole il cliché. Al contrario la mia autoconsapevolezza, il fatto che fossi un essere senziente che sapeva di stare osservando un universo che non sapeva la mia esistenza e la ignorava sfacciatamente mi facevano sentire ancora più importante perchè le stelle c'erano solo perchè ci sono gli uomini a studiarle, a osservarle, a contemplarle. Ho in mente anche adesso che scrivo una immagine precisa di un universo immenso e privo di vita percorso da uno sguardo indagatore, non necessariamente umano, che riempie con la sua curiosità e sete di conoscenza quegli spazi vuoti freddi altrimenti inermi. Mi è mancata la costanza e la determinazione per proseguire i miei studi astrofisici all'università. Ho però letto molti anzi direi tutti i testi divulgativi pubblicati approssimativamente dal 1975 al 1990. Poi ho smesso di aggiornarmi per cui so poco di quel che si è scoperto negli ultimi vent'anni, trovo il problema della materia oscura, che conosco poco, una evidenza incontrovertibile che ci stiamo sbagliando su qualcosa (il 90% della materia non può semplicemente essere mancante) ma le solide basi da amatore che mi sono costruito leggendo i migliori libri della divulgazione scientifica le porto ancora con me: Steven Winberg, Paul Davies, Margherita Hack, Franco Potenza, Piero Bianucci, Tullio regge, Livio Gratton (che ho avuto l'onore di vedere in una conferenza sulle basi della scienza memorabile tenua al CIDI di Roma) Leopold Infeld, più le ottime riviste di divulgazione scientifiche Test, poi diventata Scienza 2000, che custodisco ancora gelosamente, Science Digest, Le scienze, e, L'Astronomia, di cui comperai il primo numero all'età di 14 anni, mi hanno formato alla scienza in una maniera imprescindibile per quello che sono diventato oggi. Sono grato a tutti loro per quello che mi hanno insegnato.
Oggi le cose sono cambiate di molto. I nuovi divulgatori sono approssimativi, o caldeggiano una propria teoria senza inserirla nel quadro generale dei problemi della fisica ma proponendola nemmeno come la più probabile o quella che spiega più cose ma semplicemente come l'unica possibile. Le riviste non sono più quelle di una volta, Persino Le Scienze ha un approccio apocalittico e iperbolico (delle pseudo-riviste come Focus e affini che però vendono molto più perchè non considerate serie e noiose) nel raccontare delle forze misteriose e terribili della natura. L'involuzione di un paese la si nota anche dalla qualità della sua divulgazione scientifica e l'Italia oggi è pessima anche su questo versante.
Per questo capirete la mia meraviglia quando stamane sono incappato in un articolo pubblicato su La Stampa scritto bene, con rigore, qualità informativa, addirittura riferimenti per ulteriori approfondimenti. Così quando sono andato a vederne l'autore e ho scoperto trattarsi di Piero Bianucci (che all'epoca delle mie letture giovanili era un giovane divulgatore della nuova generazione rispetto a Hack e Gratton)  non mi sno meravigliato, la buona stoffa è sempre quella della generazione precedente e oggi non ci sono buoni divulgatori italiani, o, forse, più semplicemente, non mi è ma capitato di leggerli.
E ora godetevi l'articolo, ne vale davvero la pena.

Il cielo
08/08/2011 - La Stampa

Sonde spaziali "Juno" e "Dawn":
si campa di rendita


di Piero Bianucci

Con lo Shuttle in disarmo e i finanziamenti della Nasa al minimo storico (0,5 per cento del prodotto interno lordo Usa), la ricerca spaziale americana vive ancora di rendita. Cioè di progetti varati in anni, se non di vacche grasse, almeno non così magre.

Il 5 agosto da Cape Canaveral alle 18,23 italiane è partita verso Giove la navicella “Juno”. Venti giorni prima, il 16 luglio, la navicella “Dawn” si era inserita in orbita intorno al pianetino Vesta e da quel giorno sta inviando “cartoline” molto interessanti e per certi versi sorprendenti.

Incominciamo da “Juno”. Perfetto il lancio, avvenuto con un razzo Atlas 5 - 551. Il viaggio è iniziato sotto i migliori auspici. Adesso però ci vorrà qualche anno di pazienza. “Juno”, la Giunone dei latini e la dea Era nella mitologia greca, sorella e moglie di Giove (i miti sono spesso incestuosi) arriverà a destinazione nel luglio 2016.

Quando sarà alla giusta distanza, la navicella si lascerà docilmente catturare dal campo gravitazionale di Giove, ne diventerà un satellite artificiale (come già fece la navicella “Galileo”) e studierà il pianeta più grande e massiccio del Sistema Solare per un anno. Alla fine si tufferà a capofitto nella sua densa coltre di gas in un ultimo esperimento suicida.

Su “Juno” viaggiano 10 strumenti e una targa che riproduce uno scritto e un ritratto di Galileo. L’investimento è stato di 1,1 miliardi di dollari provenienti dal programma New Horizon. Il principale compito della sonda consiste nello studio del campo magnetico e della struttura interna del pianeta: dovrà accertare se contenga un nucleo roccioso e di quali dimensioni.

Studiare il campo magnetico significa anche osservare le aurore polari gioviane e seguire la vivace dinamica meteorologica del pianeta. Il tutto con l’obiettivo di comprendere l’origine e l’evoluzione di Giove che, oltre ad essere una mini-stella mancata per scarsità di materia prima, è anche il prototipo di una categoria di oggetti celesti che oggi sappiamo essere molto numerosa. Sono centinaia, infatti, i pianeti gassosi simili a Giove scoperti negli ultimi anni intorno ad altre stelle.

Due i contributi italiani alla sonda della Nasa. Angioletta Coradini (Inaf di Roma) è responsabile scientifico dello strumento Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper), finanziato dall'Agenzia spaziale italiana e realizzato dalla Selex Galileo. Si tratta di uno spettrometro ad immagine con una camera infrarossa, in contro-rotazione per compensare il moto rotatorio del satellite e servirà per osservare le aurore polari di Giove. Altro contributo italiano è uno strumento realizzato da Thales Alenia Space Italia con il supporto dell’Università di Roma “La Sapienza”: ci darà informazioni sulla composizione interna di Giove e sul campo gravitazionale del pianeta tramite esperimenti di radio-scienza.

Nel frattempo, in orbita intorno al pianetino Vesta dal 16 luglio, la navicella “Dawn” è in piena attività: sta inviando immagini in alta definizione, che rivelano un oggetto inatteso anche per gli addetti ai lavori e tale forse da costituire una specifica classe di corpi primitivi del Sistema Solare in formazione.

Molto utili per comprendere la natura di Vesta si dimostrano le immagini raccolte dallo strumento VIR-MS, Spettrometro per il visibile e l’infrarosso, di realizzazione italiana. Le riprese da 100 chilometri di quota hanno una risoluzione di 25 metri per pixel (foto).

“Le immagini e i dati che abbiamo ricevuto ci stanno facendo scoprire un nuovo mondo. Vesta non sembra proprio essere una grande roccia come gli altri asteroidi finora osservati, ma è un corpo complesso, con formazioni geologiche differenziate e alcune strutture superficiali mai viste prima su altri satelliti del nostro Sistema solare. Il nostro strumento – dice Enrico Flamini, il coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, a proposito di VIR-MS – così come gli altri a bordo di Dawn, sta funzionando perfettamente. Nelle prossime settimane, a mano a mano che l’orbita si abbassa, avremo sicuramente altre sorprese”.

Vesta sta rivelando l’aspetto di un corpo planetario primitivo ma bene strutturato, un vero pianeta roccioso mancato, con una sporgenza costituisce un grande massiccio montuoso (foto).

Per celebrare l’inizio dell’anno di osservazioni che “Dawn” passerà intorno all’asteroide, da 5 al 7 agosto in tutti gli Stati Uniti si svolgerà la “Vesta Fiesta”, iniziativa interattiva del JPL.

Vesta fu scoperto da Olbers nel 1804, ha un diametro di 530 chilometri e concentra in sé circa il 20 per cento della massa di tutti i pianetini. Per la prima volta possiamo osservare così bene un oggetto di queste dimensioni. Ne abbiamo però qualche campione nei laboratori terrestri: alcune meteoriti sembrano infatti provenire da questo asteroide. Dopo lo studio accurato di Vesta la navicella “Dawn” (che significa alba, aurora) punterà su Cerere, 970 chilometri di diametro, il più grande degli asteroidi, ora classificato come “pianeta nano”.

Vesta è attualmente nelle condizioni più favorevoli per l’osservazione dalla Terra: è stato infatti in opposizione il 5 agosto, nella costellazione del Capricorno, a una distanza di circa 200 milioni di chilometri. Con una magnitudine di 5,6, teoricamente sarebbe visibile a occhio nudo.

Per altre informazioni: www.nasa.gov/mission_pages/juno/main/index.html
dawn.jpl.nasa.gov
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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