3 maggio 2007

ancora sul 25 aprile

... leggo su Zainet (una rivista distribuita a scuola) rimango folgorato e decido subito di pubblicare qui perché non potrei essere più d'accordo.
Forse il titolo è un po' debole... ma l'articolo è una bomba...
Mi piacerebbe conoscerlo Matteo Marchetti... pero orsa so solo che ha 19 anni e studia al Liceo Quirino Visconti di Roma

Questo articolo è per Thomas e per tutti quei giovani che, come lui, pur se in buona fede, commettono (col pensiero) gli errori per i quali Matteo "Se non fosse troppo avvilente" scoppierebbe a ridere.

OLTRE IL PONTE C'E' DI PIU'

di Matteo Marchetti

25 aprile. “Speriamo che sia lunedì o sabato, così a scuola facciamo ponte!”, pensa la maggioranza degli studenti quando la ricorrenza si avvicina. Non è una colpa sperare in più o meno lunghe vacanze dall’impegno scolastico, in questo siamo tutti dei maestri. Basta sapere perché si va in vacanza. Un annetto fa (in DIRETTA TELEVISIVA NAZIONALE! E poi Biagi non può andare in TV… bah!) qualche imbecille del Grande Fratello si interrogava sul senso della festa, concludendo, con lampo di genio non comune (e dopo non essere riuscito a reperire nella Casa uno straccio di cialtrone che sapesse soddisfare la sua sete di conoscenza), “il 25 aprile è la Madonna!”. Allibisco. Ma l’idiota mi ha aperto gli occhi.

Cosa si festeggia il 25 aprile? Perché quel giorno negozi, uffici e scuole rimangono chiusi? I calendari delle nostre nonne, quelli che citano anche a S. Ermengarda, recitano “25 aprile- Liberazione Nazionale”. Liberazione? E da chi? E quando? E per merito di chi? Rispondo io: dalle truppe tedesche, nell’ormai lontano 1945, per merito degli Alleati (inglesi, americani, francesi e sovietici), di quanto restava dell’Esercito italiano e dei partigiani.

Parola misteriosa. Chi sono i partigiani? Per la nostra generazione sono nonni o adorabili vecchietti che una volta all’anno si agghindano e vanno a camminare per le vie della città dietro un gonfalone zeppo di medaglie. Ma una sessantina d’anni fa quei vecchietti oggi goffamente tintinnanti di distintivi avevano la nostra età, avevano vent’anni, ma senza vacanza, né una giornata di fine aprile da passare al parco o addirittura al mare, se la stagione fosse stata clemente. Non l’avevano, perché è in loro nome che noi, oggi, ‘festeggiamo’. È una festa per lo scampato pericolo. È il nostro giorno del Ringraziamento, anche se senza tacchino farcito o pellirosse. Ringraziamo tutti coloro che, nonostante fosse molto più facile e redditizio entrare nella Brigata Nera fascista, presero la via dei monti.

Chiamatela Resistenza; chiamatela Liberazione Nazionale; chiamatela come vi pare, ma, vi prego, non chiamatela guerra civile, perché non ha senso. Perché dire ‘guerra civile’ significa che, in fondo, hanno torto tutti e due i contendenti, o che comunque il vincitore ci interessa fino ad un certo punto: chi di voi si è disperato per la sconfitta di Pompeo contro Giulio Cesare, o per la vittoria dell’Unione del Nord sugli Stati Confederati nella Guerra di secessione americana?

E qui stiamo parlando di tutt’altro, stiamo parlando del conflitto contro le truppe tedesche che tenevano l’Italia sotto i loro stivali, abilmente coadiuvati dalle truppe “repubblicane” di Salò; stiamo parlando del nostro “Secondo Risorgimento”, come scritto nella lapide che a Porta San Paolo, a Roma, celebra i combattenti che il 10 settembre 1943 avevano tentato di impedire l’ingresso del III Reich nella Capitale. E un Risorgimento nazionale non dovrebbe dividere il Paese che ne è stato oggetto. Chi rimpiange che i Borboni non abbiano ricacciato a Quarto quel barbuto facinoroso in camicia rossa di Garibaldi? Chi avrebbe preferito che Vittorio Emanuele II di Savoia fosse rimasto a casa a gustarsi la propria fonduta? Chi vive la targa “Piazza Giuseppe Mazzini” come un’odiosa imposizione di una fazione vincitrice che non perde occasione per vessare gli sconfitti? Nessuno, e anzi la sola idea ci fa sorridere. Eppure, quando si parla di partigiani, non è raro sentire molta gente (e addirittura una buona parte dell’emiciclo parlamentare) scagliarsi contro i resistenti, con un frasario simile a quello succitato. Assurdo: oltralpe a tale Charles de Gaulle i parigini hanno dedicato il principale aeroporto della città nonché la più celebre piazza cittadina; costui, prima che un importante uomo politico (di centrodestra, per giunta), era stato il capo della Resistenza francese, ed oggi, unanimemente, anche per coloro che in seguito non hanno approvato la sua linea politica, è un eroe nazionale. In Italia, a volte, sembra invece si sia tornati ai tempi degli Achtung Banditen! affissi dagli occupanti in giro per le città, un monito per quei ‘criminali’ che osavano opporsi alle croci uncinate.

Nei Paesi normali, chi allora combatté il nemico è onorato in base ai propri meriti. Abbiamo già citato de Gaulle, ma potremmo continuare (ad esempio, il maresciallo Tito in Iugoslavia ha governato per quarant’anni proprio grazie al consenso che gli derivava dalla guida delle milizie che avevano scacciato Hitler e i suoi). L’Italia, però, non è un Paese normale, e questo ne è solo l’ennesima e non necessaria conferma. Guerra civile. In effetti i tedeschi non erano soli, c’erano a spalleggiarli (e a compiere le azioni ‘di polizia’ contro i loro compatrioti, mentre i nazisti si scontravano al fronte con gli angloamericani) i rappresentanti della gloriosa Repubblica di Salò, inelegante paravento mussoliniano per gli invasori. “Combattevamo per l’onore d’Italia”, amano oggi ripetere i reduci di quell’infamia. E magari sono anche sinceri. Il problema è che in quegli anni perfino Winston Churchill, baluardo delle democrazie durante la II Guerra mondiale, disse (nel 1934) “Se fossi italiano sarei fascista”. C’era un malinteso senso dell’onore, un’equivoca difesa ad oltranza dell’ordine, e poi, parliamoci chiaro: la maggior parte dei soldati di Salò aveva intorno ai vent’anni; il momento della ‘scelta’ (con o contro Mussolini) risale al 13 settembre 1943, dunque la maggior parte dei soldati di Salò era nata e cresciuta sotto il Fascio, fra adunate a Piazza Venezia e “Faccette nere”; probabilmente sarei stato fascista anche io... Non mi sento, quindi di fare una colpa ai repubblichini. D’altronde anche Francesco de Gregori cantava “dalla parte sbagliata si muore”, a ricordare come un soldato subisca sempre una morte fondamentalmente stupida, come qualsiasi morte di un ragazzo di vent’anni. Ma teneva anche a sottolineare come quella fosse la parte sbagliata. Notizia evidentemente non pervenuta al centrodestra italiano (al governo nella passata legislatura), reo di aver proposto l’equiparazione pensionistica fra gli ex-partigiani e gli ‘altri’. Se non fosse troppo avvilente scoppierei a ridere.

Intendiamoci, non sono di quelli che dicono ‘fascista al muro’ o altre amenità. Ma sono di quelli convinti che di partigiani e repubblichini, di fascismo e antifascismo oggi si parli decisamente troppo. Dovrebbe essere una pagina chiusa e archiviata, da almeno cinquant’anni. Anche altri chiedono questa chiusura, ma l’archiviazione caldeggiata farebbe rima con ‘rimozione’ (caro il mio Fini, nelle foto con il braccio destro teso sei venuto veramente carino...): ringraziare i partigiani è diventato sinonimo di militanza politica, mentre dovrebbe essere semplicemente un atto dovuto e automatico. Io sono convinto che di fascismo e antifascismo oggi si parli decisamente troppo, perché dovrebbe essere assodato e pacifico che la Repubblica deve la propria esistenza ai partigiani, che combattevano contro coloro che, invece, l’avrebbero ammazzata nella culla. Sono convinto che il 25 aprile i politici, di destra e di sinistra, dovrebbero fare a cazzotti per risaltare in prima fila davanti ai flash dei fotografi mentre depongono corone ai piedi dei monumenti ai caduti. Così, senza retorica o discorsi. Per rispetto.




bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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