21 luglio 2008

Fiorella m'annoia

Dal blog di Paolo riprendo il video di Fiorella Mannoia del brano Io che amo solo te di Sergio Endrigo, con le sue citazioni cinefile (non sono riuscito a cogliere giusto l'ultima...) e anche io sfido chiunque a riconoscere i film citati.


Il video è importante perché riscrive, un poco, l'immaginario collettivo italiano, inserendo tra le storie d'amore, tutte interpretate da attori giovani ma importanti, anche una storia d'amore gay, con la semplicità e la leggerezza che merita (ma perché non anche un amore lesbico?...)

Purtroppo, a differenza del coro, trovo l'interpretazione che Fiorella Mannoia dà della canzone ben misera.
Provate a sentire come Endrigo interpreta ogni singola frase, sia nelle strofe che nel ritornello, tutte di un fiato, allungando ogni singola nota, e confrontatela col canto di Fiorella che spezza le frasi, non interpreta, ma dice, non fa dichiarazioni d'amore, ma declama versi, senza ritmo, senza un'idea musicale dietro.

Lì una dichiarazione d'amore tutta di un fiato, spontanea, dirompente, tenerissima, che non può esser detta altrimenti, qui invece il compitino di una cantante che si crede grande e che basti la sua auctoritas per dare spessore alla sua interpretazione (Mina non si è mai permessa di farlo, quel che manca a Fiorella è proprio l'umiltà professionale).

Capisco che Fiorella volesse trovare una strada sua nell'interpretarla, che non volesse rifare la versione di Endrigo, ma non ha capito il senso della canzone, non si può spezzare le frasi come fa lei (e Vanoni nella sua interpretazione) Mina, che ha capito tutto del pezzo, addirittura prolunga i fiati unendo le frasi tra di loro...


Quello che ha scelto di fare Mannoia lo trovo irrilevante, di una pochezza abissale, ma d'altronde, come dice la mia amica Frances, Mannoia? basta la parola!...

Intanto di Endrigo non sa niente nessuno, mentre di Mannoia si comprano i dischi anche dovesse incidere dei gargarismi...

Riflessi

E mentre mettevo a posto scartoffie e vecchi appunti (strano modo di divertirsi il mio) sono uscite fuori alcune foto e i vecchi appunti per una mostra di fotografia alla quale ho partecipato nel lontano 1988, vent'anni fa giusti giusti, insieme a Alessandra Guarino, Carola Picciotti e Giovanni Benedetti, uniti per l'occasione nel gruppo "Zabriskie Point". Le foto erano di Marco Polidori, noi ci "limitammo" a coadiuvarlo nella scelta degli scatti nella stampa e nell'allestimento della mostra.
Pensate cosa voleva dire montare foto su pannelli 3 mt per 2...
Sono molto grato a Marco, ancora oggi, perché mi ha portato con sé nella camera oscura e mi ha dato subito fiducia permettendomi di stampare le mie prime foto. L'emozione di vedere apparire dal nulla l'immagine stampata nella soluzione di sviluppo e di fissaggio è una cosa che intender non la può chi non la prova. Una stampa coraggiosa e ardita, mentre con le tue mani (ma più spesso con dei cartoncini) oscuravi parte del fascio luminoso per correggere problemi di esposizione del negativo (o per personalizzare comunque la stampa).




Tengo ancora con me qualche prova che facemmo allora, su carta fotografica, stracciata, slabbrata e questa matericità della foto, così distante dalle foto digitali di oggi mi fa dire ancora e sempre di più che l'era analogica è l'unica che vale la pena di essere studiata...

Allestimmo la mostra nell'atrio dell'aula magna de<La Sapienza e per una settimana andai io ad aprire la mostra, alle 9 del mattino, restando fino a sera. Alessandra e gli altri venivano il pomeriggio a darmi il cambio Marco arrivava quasi tuttele mattine verso le 11. Chiedevo le chiavi alla custode dell'aula magna aprivo quella porta enorme e pesantissima, anni trenta, e accoglievo i visitatori, dando spiegazioni o lasciandoli liberi di guardare quel che volevano. Ai più interessati regalavo le fotocopie rilegate con una serie di scritti, di Marco e nostri.

Non a tutti piacque quel che facemmo: la mia amica Frances criticò il fatto che nel poster della mostra c'era un disegno e non una foto ("che mostra di fotografia è?"); il poster lo aveva stampato lo zio di Marco, nel suo studio di grafica e ci era parso tutto così fantastico che non avevamo pensato minimamente a mettere una foto invece del disegno...
Luciano, il compagno di Mariù, un amico, aveva trovato quel che avevamo scritto banale o presuntuoso, forse era solo invidia, o spocchia...
Le foto a me piacevano moltissimo e i visitatori veri (quelli che erano venuti non perché avevano un amico che aveva partecipato alla mostra, ma gente davvero interessata di fotografia) le apprezzavano assai.
Chissà se Marco ha ancora il libro dei commenti...

Ho perso di vista Marco da almeno 10 anni.
Le ultime notizie che ho di lui è che ha lasciato l'insegnamento nelle scuole, ed è diventato cuoco (cuoco?!?).

Chissà se gli capiterà di leggere queste righe...

Le foto che pubblico sono prove e non sono minimamente indicative del lavoro straordinario che aveva fatto Marco, grazie al suo straordinario occhio da fotografo, l'unica cosa che non si impara, o lo si ha oppure no.

Chissà quante altre foto avrà fatto in tutti questi anni...
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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