29 febbraio 2008

Alberto Sordi (Roma, 15 giugno 1920 Roma , 24 febbraio 2003)

Alberto Sordi non è mai stato un attore particolarmente seguito nella mia famiglia. Noi avevamo altri idoli: Totò, i fratelli De Filippo, Ugo Tognazzi, Alberto Lupo...
Così Sordi fu per me una scoperta televisiva, grazie ai cicli di "Storia di un Italiano" dove mi accorsi, oltre al fatto che non sapevo un cacchio di storia italiana, che il cinema poteva raccontare la storia, quella con la S maiuscola e quella con la s minuscola, e che l'Albertone nazionale era sia quello dei film felicissimi come Il boom, il vedovo, Tutti a casa, La grande guerra, sia quello dei grossolani In viaggio con papà, Un borghese piccolo piccolo (film morbosissimo e arcaicamente fascista).
Sordi, più di altri, ha interpretato, innervandolo di mille sfaccettature, sempre lo stesso carattere, lo stesso personaggio, lo stesso archetipo di Italiano facilone e ingenuo, gradasso e stupido, ma, suo malgrado, capace di gesti enormi, di sopportare derisione e destini avversi...
Capisco possa dar fastidio vedere riflessi i difetti, non quelli personali, per i quali siamo responsabili solo noi, ma quelli culturali, geografici, politici, storici di "noi" italiani, ma non capisco l'avversione e il disprezzo borghesi con cui Sordi è stato trattato a sinistra (dalla sinistra radical chic ovviamente perché il popolo ha sempre amato Alberto).
Ricordo, a una festa di amici poco più che adolescenti, la domanda, timida e reverente, fattami, in qualità di "espertone di cinema" (l'accrescitivo è per la mia stazza, non per le mie competenze beninteso...) da una ragazza, che aveva visto molti più film di Sordi che me (che vi dicevo?) la quale, commentando con la sua prof. che con Sordi se ne andava un pezzo importante di cinema italiano, si era sentita rispondere dalla spocchiosissima insegnante che "in Italia ci sono ben altri attori e registi". "Secondo te Sordi è stato un attore importante o no?" mi chiedeva, ancora mortificata, la ragazza. Le rispondevo commentando che l'affermazione della sua insegnante (sic!) era dettata dalla cattiveria di un'adulta la quale, invece di apprezzare le passioni di una sua discente e di incitare a coltivarle, gratificandone interessi e sensibilità, impiegava quella sua passione come piccolo podio per la sua vanesia e millantata cultura superiore (pare che la donna avesse citato Visconti e Rossellini...).
Ma la mia risposta non rinfrancò la sua aria frustrata, la sua sensibilità calpestata, immagino con quanta sgraziata saccenza, da quella perfetta italiana borghese della sua professoressa.
Un essere (in)umano il cui comportamento dimostra quanto Albertone avesse colto nel giusto, dipingendo come ha fatto, noi italiani: nel momento in cui, disprezzando Albertone mortificava una ragazza la cui colpa era solo quella di guardare i film "vecchi" (agli occhi della sua generazione), preferendoli a quelli pensati oggi per lei da un mercato sempre più piatto e volgare, quella professoressa stava inconsapevolmente innalzando ad Alberto il monumento più grande possibile... Quella vigliaccheria di noi Italiani, di prendercela coi più deboli, o coi più giovani, impreparati a replicare a tono, e di ossequiare i potenti non perché li temiamo, ma perché rispettiamo in loro, con ossequiosa invidia, quel potere che vorremmo avere e non abbiamo, è forse la matrice fascista più insidiosa e dura a morire che abbiamo e che Albertone ha saputo irridere tanto bene ricordandocelo in tutti i suoi film e, per questo, c'è ancora chi si infastidisce.

bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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