29 novembre 2006

La stroncatura di Mangiarotti

17 novembre 2006

IL GIORNO/LA NAZIONE/IL RESTO DEL CARLINO

MINA FA BAU E CANTA MA NON RISCALDA I CUORI

di Marco Mangiarotti

Milano. NUN ME PIACE. Tanto. Che nel caso di Mina è come dire no ad un piatto cucinato dalla mamma. Colpa del fuoco, del cuoco, degli ingredienti? O della padella? Degli ingredienti, come ci insegna slow food. Massimiliano coordina, produce e arrangia un materiale inedito che ci riporta agli ultimi discutibili album di Nostra Signora della Canzone. Un solo titolo nel suo piccolo memorabile, “Acqua e sale”. Qualche altra cosa tipo “Brivido felino”. Il resto bruttino, inutile o carino. Generalizzando, s’intende. In mezzo a notevoli album di cover. Come fanno da sempre a ogni latitudine le voci del suo rango. Di “Bau” non ci spaventa l’ascolto dell’ignoto o il record, come autore, del simpatico Mingardi (foto sotto). Che ne mette in buca otto, con Tirelli e ne canta (benissimo) due. Ci inquieta l’assenza di note memorabili, degne del suo mito. Andrea non è Mogol né Battisti, per citare il singolo e il primo dei duetti. Nel senso che ha sempre espresso la forza e il linguaggio di una incontenibile passione per la musica nera e gli anni ’50 e ’60 (’70). Ma non ha mai scritto in carriera nulla di memorabile. Memorabile è lui, da prendere in voce, carne, sangue, musica in toto. Quindi questo lavoro che vira da pop vinoso al black coffee ci restituisce al massimo le atmosfere di un’epoca. Con onore e amore. Quando un pezzo parte bene subito ti ricorda un po’ troppo qualcos’altro. O cade da un “ponte” improbabile. Come la dalliana “Johnny scarpe gialle” che inizia strizzandoti cuore e romance. Insomma, difficilmente ci si smuove dal carino. Si sfiora l’inutile, dolorosamente.

Max Pani presenta con giusto orgoglio un brano firmato, tra gli altri, dal figlio Axel e ribadisce: “Mamma ha scelto come sempre da sola. E se ci sono tutte queste canzoni di Mingardi vuol dire che erano quelle che le erano piaciute di più”. Ovviamente non è tutto da buttare. Lei canta sempre sopra il cielo di Lugano, anche quando gioca a far la sciatta o la sciantosa. E la musica gira intorno elegante, senza trucchi. Tira fuori dall’armadio capetti vintage di Chanel, e accessori giusti, dalla borsetta Kelly (rigorosamente rossa, please!) alle scarpe bon ton con fibbia Roger Vivier. Per dirla con il maestro Paolo Conte, qui si sbaglia da professionisti. Riguardo il bicchiere: niente rosso, un bianco da signore. E cerco di vederlo stavolta mezzo pieno.

Allora cosa può piacere ai nuovi e ai vecchi fan, quelli che comunque comprano almeno 150mila copie dei suoi dischi. A prescindere. Il pop inedito e, per fortuna, gli standard jazz. Può divertire il rimando citazionista a titoli, armonie, giri e fughe melodiche del passato. Se non le hai già vissute funziona quasi sempre. Le storie di Johnny, sulle scarpe gialle e sull’Orient Express. Così reale e blue che sembra uscito da un romanzo-fumetto di Mingardi. Poi il fatto che il repertorio è vinoso; quindi, da un punto di vista minimale, coerente. Che qualche pezzo suona meglio di altri, anche se non degno di stare fra i suoi hit immortali. Che puoi trovare il tutto, come nel caso delle Vibrazioni, sui telefonini Nokia Music Edition (questa è la distribuzione del futuro, più del pc; non solo le suonerie ma interi album). Delle cose di Andrea non mi dispiace “L’amore viene e se ne va”. Ha il respiro debole del grande pezzo. E “Inevitabile”. Bigazzi e Falagiani danno il loro contributo in “Fai la tua vita”. Agostino Guarino celentaneggia con “Come te lo devo dire” e lei si adegua ruvida e country. “Datemi della musica” è dare a Mingardi quel che è di Mingardi. In sidecar.

Il giudizio grave e un po’ greve non poteva prescindere dall’altezza monumentale e vocale di Mina. È stata una stroncatura onesta ma sofferta. Tanto so che lei, francamente, se ne infischia.

Cos’è che mi fa incazzare di questo articolo?

Certo non la stroncatura dell’ultimo disco di Mina. Sarebbe troppo facile. E troppo infantile. Io ascolto Mina da quando avevo 13 anni ma so mantenere un mio giudizio critico nei suoi confronti. E se servissero le credenziali di fan critico e non acritico posso chiamare a testimoniare i miei amici che di Mina mi hanno sentito parlare bene ma anche male.

No. Non sono incazzato come fan di Mina.

Sono incazzato come lettore.

Perché, da lettore, alla recensione di Marco Mangiarotti non posso che rispondere: “E chi se ne frega?!”.

Un giornalista, un critico non esprime giudizi, ma dà informazioni, fornisce strumenti critici, dando la possibilità a chi li legge di farsi una opinione propria, magari diversa da quella espressa dal giornalista stesso, quelli veri lo fanno. Anche quando esprime giudizi personali il vero critico lo fa portando delle argomentazioni, delle motivazioni che possono essere condivise o criticate, con le quali, insomma, ci si può dialetticamente confrontare.

Mangiarotti, invece, crede di essere al bar, a casa con gli amici, o a Music Farm (dove tutto si riduce a un voto da 1 a10) e esprime un giudizio secco, senza argomentazioni, pensando che basti la sua auctoritas come argomentazione, come strumento critico. “Nun me piace”. Punto.

Ancora, come lettore, non posso non dirgli “E chi se ne frega!”.

Ora, anche fosse il miglior critico musicale, il miglior giornalista del pianeta (e Mangiarotti non lo è), ciò non lo solleverebbe dall’obbligo di spiegare a chi lo legge il perché delle proprie affermazioni, perché pubblicando le sue idee su un (tre) quotidiano(i), non può limitarsi a esprimere un giudizio, lo deve argomentare, ma Mangiarotti se ne dimentica (o lo ignora).

Va be’, direte, magari nell’articolo qualche argomentazione la propone, qualche strumento critico lo fornirà. Vediamo.

Milano. NUN ME PIACE. Tanto. Che nel caso di Mina è come dire no ad un piatto cucinato dalla mamma. Colpa del fuoco, del cuoco, degli ingredienti? O della padella? Degli ingredienti, come ci insegna slow food. Massimiliano coordina, produce e arrangia un materiale inedito che ci riporta agli ultimi discutibili album di Nostra Signora della Canzone.

Al di là della metafora culinaria, Mangiarotti dice, senza argomentare, che a lui il disco di Mina non è piaciuto, limitandosi ad asserire che Bau è discutibile come gli altri suoi ultimi dischi. Perché? Boh, non lo dice. Proseguiamo.

Un solo titolo nel suo piccolo memorabile, “Acqua e sale”. Qualche altra cosa tipo “Brivido felino”. Il resto bruttino, inutile o carino. Generalizzando, s’intende. In mezzo a notevoli album di cover.

Invece di argomentare, spiegare il perché di quanto ha appena detto, Mangiarotti prosegue affermando che solo “Acqua e Sale” e “Brivido Felino” (entrambi dal disco Mina Celentano del 1998, ma questa informazione lui non la dà …) sono “nel loro piccolo” memorabili. Di nuovo un giudizio espresso senza argomentazione. Il resto, prosegue (di cosa, di Mina Celentano? Degli ultimi dischi della Signora? O di Bau? non si capisce…), è bruttino, inutile, o carino. Ah! Complimenti!! Bei termini degni di un critico esperto!

Poi Mangiarotti si corregge e precisa che sta generalizzando e che qualche canzone non bruttina, non inutile o non carina magari c’è. Però, ancora, senza dare un perché. Poi riduce ancora il campo e incensa i notevoli album di cover. Di nuovo senza argomentare perché quelli sì e questi (gli album di inediti) no.

In questo Mangiarotti si allinea a una tradizione della critica italiana che, sin dai tempi in cui Mina pubblicava un album doppio, con, appunto, il primo volume di cover e il secondo di inediti (l’ultimo è stato Pappa di latte nel 1995), vedeva preferire le cover che Mina “nobilitava con la sua voce” alle canzoni inedite dalle quali la sua voce veniva invece "mortificata”. Ma non divaghiamo e proseguiamo.

Come fanno da sempre a ogni latitudine le voci del suo rango.

Mangiarotti precisa (prima informazione che ci dà dall’inizio dell’articolo) che ogni cantante con la voce del rango di Mina fa da sempre dischi di cover. Come dire che in questo Mina non è nemmeno originale ma fa quello che tutti i grandi fanno.

Di “Bau” non ci spaventa l’ascolto dell’ignoto o il record, come autore, del simpatico Mingardi (foto sotto). Che ne mette in buca otto, con Tirelli e ne canta (benissimo) due. Ci inquieta l’assenza di note memorabili, degne del suo mito. Andrea non è Mogol né Battisti, per citare il singolo e il primo dei duetti. Nel senso che ha sempre espresso la forza e il linguaggio di una incontenibile passione per la musica nera e gli anni ’50 e ’60 (’70). Ma non ha mai scritto in carriera nulla di memorabile. Memorabile è lui, da prendere in voce, carne, sangue, musica in toto.

Qui Mangiarotti ci dice che c’è qualcosa che lo spaventa (e, ancora vorrei dire, “e chissenef…”) ma non le canzoni ignote (l’aggettivo si riferisce agli autori oppure al fatto che sono canzoni inedite? Boh!?...) né il record delle canzoni scritte da Mingardi, definito simpatico (certo! Perché se era antipatico questo influiva sul giudizio dato sulle sue canzoni…) il quale, dice sempre Mangiarotti, ne canta benissimo due.

È l’assenza di note memorabili (cioè di canzoni, la parte per il tutto) a inquietarlo, e dice che le canzoni scritte per Mina non sono degne del suo mito (di Mingardi, o di Mina?…), ancora senza dire il perché. Chissà forse leggendo oltre… Macché Mangiarotti spara un altro giudizio tranchant, sempre senza argomentarlo, e dice che Mingardi non è ne Battisti né Mogol (eh già, è …Mingardi!!!) e che non ha mai scritto in vita sua una canzone memorabile (e le argomentazioni? Niente! Eppure l’affermazione è di quelle definitive…).
Ma allora il mito di Mingardi di cui Mangiarotti parlava prima da dove proviene?!?!? Vuoi vedere che si riferiva davvero a Mina ?

Memorabile è lui, da prendere in voce, carne, sangue, musica in toto”.

Che vigliacco Mangiarotti! Dopo averlo ucciso artisticamente dice che almeno umanamente Mingardi non è una merda (eh già, lo aveva chiamato “simpatico”, ricordate?).

Quindi questo lavoro che vira dal pop vinoso al black coffee ci restituisce al massimo le atmosfere di un’epoca. Con onore e amore. Quando un pezzo parte bene subito ti ricorda un po’ troppo qualcos’altro.

Ah ecco, mi direte, vedi? Qui sì che Mangiarotti argomenta!!! Sei il solito polemico Alessa’…

Beh, un attimo, vediamo…

Intanto ci informa che il disco (Bau) vira dal pop vinoso (“detto di vino che presenta aroma e sapore sano e genuino” dallo Zingarelli, terzo di quattro lemmi) al Black Coffee (titolo di canzoni diverse, io ne ricordo una memorabile cantata d Sarah Vaughan…) e che, al massimo, restituisce le atmosfere di un’epoca. Con onore e amore. Ma a quanto pare questo non basta perché, prosegue, se un pezzo parte bene è perché te ne ricorda un altro.

Quindi, deduco, il disco non gli piace perché le canzoni non sono novità….

Ci sto.

Non è la prima volta che Mina canta canzoni che ne ricordano altre (in qualche caso anche in maniera imbarazzante, come in Per averti qui di Massimiliano Pani e Valentino Alfano, in Italiana, del 1982 che è la copia di Voglio di più di Pino Daniele).

Però…
Se il disco è un omaggio al Jazz e al Blues come si fa a fare qualcosa di nuovo?
Il blues è il blues…
Il jazz è il jazz...
Ovvio che ti ricordi qualcos’altro.

Ma tanto lo si dice sempre delle canzoni inedite di Mina “ne ricordano altre…”.

Certo, se avesse dato qualche argomentazione in più, per esempio che nel brano È inevitabile di Mingardi, il ritornello assomiglia paurosamente a Harvest for the World degli The Isley Brothers (rifatta anche dai Christians alla fine degli anni ’80) sarebbe stato più difficile controbattere. Ma Mangiarotti è parco di informazioni e di argomentazioni. Si accontenta di dire “buono” o “cattivo”, magari con uno stecchino in bocca e il ruttino pronto sgorgare dalla sua bocca, d’altronde ha aperto l’articolo con una metafora culinaria…

O cade da un “ponte” improbabile. Come la dalliana “Johnny scarpe gialle” che inizia strizzandoti cuore e romance. Insomma, difficilmente ci si smuove dal carino. Si sfiora l’inutile, dolorosamente.

Almeno una volta a onor del vero ad argomentare ci prova… Infatti dopo aver detto che il disco Bau non è bello perché le canzoni non sono delle novità ma ricordano canzoni già scritte, critica il ponte improbabile di qualche canzone… Però sbaglia canzone!!! Cita Johnny dalle scarpe gialle che di improbabile (improbabile per chi?... per Mangiarotti… echissenefrega) casomai ha il ritornello e non il ponte, che…non c’è!!! Improbabile perché poi? Perché il ritornello è rock e il resto della canzone è melodica, dalliana come dice il nostro… ? Argomentare Mangiarotti, argomentare!!!!

Mangiarotti invece tace e prosegue dicendo che il disco non si muove dal carino.

Ecco, l’uso di aggettivi di gusto come questo al posto di una vera argomentazione (una, Mangiarotti, ne sarebbe bastata una…) fa del nostro un criminale, nel senso che commette un crimine, quello di uccidere l’esercizio della critica (e del giornalismo) delegittimandone il duro apprendistato in favore di un gusto estemporaneo di pancia (sempre gli stessi aggettivi buono cattivo carino…) alla portata di tutti. Un modo di fare critica che poco ha a che fare con la musica e molto col mito di Erostrato che aveva dato fuoco al tempio di Artemide nel 356 a.C. sperando così che il suo nome divenisse immortale… Però qui Mangiarotti si illude, perché fra 100 anni di Mina si continuerà a parlare, e ad ascoltare le canzoni, mentre di Mangiarotti non si ricorderà più nessuno... Ma sto divagando di nuovo…

Insomma il disco è “solamente” carino e inutile, e mentre lo dice ne prova dolore… (ma allora che lo dice a fare… che ipocrita!). E spiega per caso il perché? No.

Max Pani presenta con giusto orgoglio un brano firmato, tra gli altri, dal figlio Axel e ribadisce: “Mamma ha scelto come sempre da sola. E se ci sono tutte queste canzoni di Mingardi vuol dire che erano quelle che le erano piaciute di più”. Ovviamente non è tutto da buttare. Lei canta sempre sopra il cielo di Lugano, anche quando gioca a far la sciatta o la sciantosa. E la musica gira intorno elegante, senza trucchi.

Apparentemente pentito di tanto dire male ammette che non tutto e da buttare (senza specificare cosa sì e cosa no…) e concede (che magnanimo!) che Mina canta sempre sopra il cielo di Lugano (eh?) anche quando gioca e fa la sciatta o la sciantosa. Il dolore di prima deve avergli fatto perdere lucidità perché Mangiarotti si inerpica per una considerazione che non so a cosa serva e cosa significhi, se qualcuno ha il buon cuore di evincermi… (sarò un lettore stupido ma ho il diritto anche io di capire che caspita sta dicendo Mangiarotti).

Tira fuori dall’armadio capetti vintage di Chanel, e accessori giusti, dalla borsetta Kelly (rigorosamente rossa, please!) alle scarpe bon ton con fibbia Roger Vivier.

Tira fuori dall’armadio capetti vintage di Chanel, e accessori giusti, dalla borsetta Kelly (rigorosamente rossa, please!) alle scarpe bon ton con fibbia Roger Vivier.

TRADUZIONE PLEASE!!!!

Poi nello stesso periodo cita Paolo Conte e dice che Mina sbaglia (in cosa? Nei capetti vintage?...), sì, ma da professionista…. Le dà della signora che beve il vino bianco piuttosto che del rosso, di cui aveva parlato lui… (beh in una delle canzoni in effetti Mina offre del vino…).
Boh! Io non lo seguo più… E mi chiedo se queste righe astruse non potevano essere sostituite da due righe due che argomentassero almeno una delle affermazioni che spara in tutto l’articolo, che ne so, una semplice, che Bau è solamente carino? Invece conclude la metafora col logoro detto del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto… Cioè prima dice che il disco è ben misero e poi si dice ottimista su quel che c’è, che comunque vale…. A Roma direbbero che Mangiarotti “Se la canta e se la sona”… ma andiamo avanti.

Allora cosa può piacere ai nuovi e ai vecchi fan, quelli che comunque comprano almeno 150mila copie dei suoi dischi. A prescindere. Il pop inedito e, per fortuna, gli standard jazz.

Il nostro bacchetta chi compra i suoi dischi a prescindere (il pubblico va sempre rispettato Mangiarotti, magari educato, ma rispettato…) invece di riconoscere a Mina il potere di vendere a scatola chiusa 150.000 copie, che sono tante in un mercato malato come quello contemporaneo (lo constata lei stessa in un suo articolo uscito lo stesso giorno sulla stampa Adesso questo lavoro, che è anche carino, ce lo tiriamo in fronte. Eh sì, dischi non se ne vendono più. Purtroppo o per fortuna, non so. Cioè lo so benissimo, ma questa è un’altra storia.), ma pochissime rispetto quel che Mina vendeva una volta.
Ecco, un vero critico avrebbe anche parlato di un po’ di storia e di economia della musica invece di discettare di ...vinosità e capetti Chanel (ma siamo sicuri che Mangiarotti si interessi di musica e non di enogastronomia e moda? Mah!) e risponde (a una domanda fattasi da solo…) che i fan potranno consolarsi con il pop inedito (parla di qualche canzone in particolare o del pop generico che caratterizza l’album? Mistero!) e gli standard Jazz. Gli standard Jazz?!?! Quali? Non ci sono standard Jazz in Bau… Non è che sbaglia disco…? O parla forse in generale dell’ultima produzione discografica di Mina quindi anche dei dischi di cover?…. Ah saperlo!

Può divertire il rimando citazionista a titoli, armonie, giri e fughe melodiche del passato. Se non le hai già vissute funziona quasi sempre.

Quindi i suoi fan non sono solo cretini a comprare i suoi dischi a scatola chiusa sono anche ignoranti ché non conoscono la storia della canzone e prendono per nuove canzoni che invece non lo sono… Ma allora come fanno ad apprezzare il rimando citazionista…?
Lui, Mangiarotti, le conosce bene e non si lascia ingannare… Ma che pallone gonfiato ‘sto Mangiarotti… Parla sempre di sé, solo di sé… di quello che piace a lui personalmente… senza possedere un’idea di musica, una weltanschauung, uno straccio di estetica che vada al di là dei suoi succhi gastrici.

L'articolo non è finito…

Le storie di Johnny, sulle scarpe gialle e sull’Orient Express. Così reale e blue che sembra uscito da un romanzo-fumetto di Mingardi. Poi il fatto che il repertorio è vinoso; quindi, da un punto di vista minimale, coerente.

Qui tra le righe gli scappa che il disco ha una coerenza interna musicale, vera, grande novità per Mina che negli ultimi anni ha sempre fatto album contenitori, nei quali convivevano canzoni diverse per ascendenza ed estrazione… Ma a Mangiarotti non preme fare informazione solo autocelebrarsi esprimendo i suoi gusti tranchant. E infatti lo butta là per inciso, dopo aver detto che il repertorio è vinoso… (secondo me è Mangiarotti è un sommelier mancato…).

Che qualche pezzo suona meglio di altri, anche se non degno di stare fra i suoi hit immortali. Che puoi trovare il tutto, come nel caso delle Vibrazioni, sui telefonini Nokia Music Edition (questa è la distribuzione del futuro, più del pc; non solo le suonerie ma interi album).

Qui si ripete, limitandosi a dire che qualche canzone è meglio delle altre, ma che nessuna è degna di stare tra i suoi hit immortali… E poi critica la scelta anch’essa nuova per Mina di pubblicizzare il cd facendolo uscire una settimana prima sui telefonini Nokia (perché se il disco è disponibile prima che la sua recensione esca sul giornale poi magari la gente anche se legge la sua stroncatura ormai l’ha comprato… e che fa? Restituisce il telefono al negoziante…?).

Poi, come se finora avesse fatto una critica argomentativa, propendo spunti di discussione, facendo notare particolari critici degni di esegesi, metodi critici, idee sulla musica e non giudizi sommari, Mangiarotti si permette pure l’angolo del personalismo e dice cosa gli piace e cosa no, ovviamente sempre senza una briciola di argomentazione….

Delle cose di Andrea non mi dispiace “L’amore viene e se ne va”. Ha il respiro debole del grande pezzo. E “Inevitabile”. Bigazzi e Falagiani danno il loro contributo in “Fai la tua vita”. Agostino Guarino celentaneggia con “Come te lo devo dire” e lei si adegua ruvida e country. “Datemi della musica” è dare a Mingardi quel che è di Mingardi. In sidecar.

Che argomenta, spiega, ragiona? Che lo chiedo a fare...

Poi (finalmente!) conclude.

Il giudizio grave e un po’ greve non poteva prescindere dall’altezza monumentale e vocale di Mina.

Eppure anche sulla voce ci sarebbe da dire, volendolo, che cambia con gli anni, che è comparso da qualche anno (quasi un decennio) un impercettibile soffio sui toni medi...
ma ormai abbiamo capito…

È stata una stroncatura onesta ma sofferta. Tanto so che lei, francamente, se ne infischia.

Eccolo che si autoassolve (e continua a parlare di sé!).

Onesta?

Egotista,

non onesta

.Ecolalica direi…

Autocelebrativa, anche,

ma non onesta…

Perché a sparare a zero su Mina (su un disco una volta tanto diverso dagli ultimi lavori…) ci guadagna solo Mangiarotti (chi?!?) che si inerpica sulle spalle dei giganti per sopperire alla propria mediocrità.

Però su una cosa Mangiarotti ha ragione quando dice che Mina

francamente, se ne infischia.

E con lei, caro Marco, tante, tantissime persone, perché, finché continuerai a esprimere giudizi senza argomentarli, molti, quasi tutti i lettori, tranne quelli abituati alle recensioni-diceria in cui sembri eccellere, ti grideranno con tutta la voce che hanno in gola:

“E CHI SE NE FREGAAAAAAAA!”

28 novembre 2006

BAU

…sarà che sto invecchiando, sarà che ‘sta nuova vita da single mi sta diventando vecchia anche lei, sarà che i miei amici hanno perso l’entusiasmo di una volta, ma non si può certo dire che la festa in onore della nostra cara amica Mina in occasione dell’uscita del suo ultimo album Bau (Bau?!? Sì, Bau…) sia stata un successo…

Mancava quel reverente interesse nell’ascoltare le canzoni (solo Paolo aveva il cardiopalmo per ogni nota... quanto al sottoscritto all’ora di cena di venerdì conosceva già tutte le canzoni a memoria…) quel religioso interesse e quel blasfemo senso critico, quella gioia dello stare insieme a bere e mangiare riuniti ancora una volta da Lei.. Come paiono lontane le mitiche feste dei primi anni novanta a casa di Pasquale…. Che intesa tra Frances, Pasquale, Linda e me…

Quest’anno invece Markus e Daniele prendevano in giro Antonio dandogli del supplì (del supplì?! Sì, del supplì) tanto che Paolo, il buon Paolo che non ha mai una parola fuori posto, appena il supl… ehm Antonio s’è dato, ha detto laconico: “siete due stronzi”. Ah potenza ed efficacia del poco ma giusto parlare! Una delle (tante) doti che mi mancano…

Solo quando ho suonato qualche canzone di Kyrie del lontanissimo 1980 (e Bruno che non capiva che 1980 è anche un anno e non solo un decennio e continuava a chiedere “sì ho capito che è del 1980 ma di quale anno?” E io “1980…”) la sala (vabbe’ eravamo in sei…) si è ammutolita, anche gli osti e il supl… ehm Antonio hanno mostrato interesse…


24 novembre 2006

Zia Clara, sei tu?!

Insomma, intanto la botta di …fortuna nell’essere in terza fila, in posti centralissimi, davanti due file ridotte e, dietro, la folla, così il concerto è come se Lori lo facesse solo per noi…

Solo per guardare Paolo e Markus, abbarbicati in galleria, mi volto e mi accorgo della folla che presenzia alla serata… (sulla cui composizione stendiamo un velo pietoso…) ma poi quando mi rigiro verso il palco me ne dimentico e il concerto si trasforma in una performance da camera per me, solo per me nient’altro che per me…

Ma il concerto non inizia! Sono già le 9 e 30 e pensare che io, da gran habituè dell’Auditorium, avevo pronosticato “inizierà alle 9 e venti, sono abbastanza puntuali qui…”.

Più passa il tempo e più mi sale una certa inquietudine, quasi come dovessi farlo io il concerto e m’immagino Loredana dietro le quinte, ubriaca, fatta di psicofarmaci, spaventata, incazzata nera, che disdice il concerto, tratta in malo modo i musicisti, urla, si strappa i capelli, piange, si dispera, perché è matta, è sola, disperata, come un cane, siamo sicuri che stia ancora parlando di lei?

Poi finalmente, come fossimo al cinema, le luci si abbassano e mentre la sala esplode in urla e applausi appare sul palco una donna dai grossi fianchi e dai seni prominenti. Mah… è possibile che sia ingrassata così tanto in tre settimane…? A “le invasioni barbariche” sembrava così magra… Inizia a cantare e la voce non sembra quella sua, mi guardo intorno e tutti gridano il suo nome, Daniele mi guarda con un’espressione sul viso che sembra dire “hai sentito quant’è brava?” ma io non la riconosco… Il sorriso sembra il suo ma è troppo serafica, troppo poco nervosa nel suo incedere per essere Loredana… e poi a chi somiglia? Ma sì, mi ricorda… e proprio uguale a…. Zia Clara! Sei tu?!?!? Se non fosse che è morta da due anni potrei anche crederci… Anzi più la guardo più mi sembra proprio lei. Zia Clara, la mia zia Clara che è tornata dall’aldilà per darmi l’opportunità di dirle che mi manca da morire e che ancora non mi capacito che non ci sia più e che senza di lei il mondo sia comunque andato avanti… E mentre mi commuovo per …l’impostrice, Loredana Bertè, quella vera, incede sul palco col suo passo sfrontato e nervoso, con la bocca mossa da un’impuntatura, un’idea testarda, da impunita… pare Mariù, la mia amica millantatrice di chissà quali capacità maieutiche che in realtà si chiude a riccio alla prima blanda e innocente osservazione nemmeno tanto critica che le fai (che sòla Mariù, il più gran bluff della mia vita e come mi ci avevi fatto credere…!!!)

Il teatro viene giù in un boato di contentezza (ma in quanti avevano pensato che l’impostrice fosse lei ?) mentre la mia inquietudine si placa perché il senso di realtà è stato ripristinato e la pseudoloredana declina le sue generalità, è Aida, la corista che segue Lori da almeno vent’anni… ma quanto è ingrassata mio dio! era una silfide… e Loredana si fida presto a cantare da sola senza il suo sostegno (ma che imbarazzo tutte quelle moine “vieni qui che forse non ce la faccio a cantare ‘ste note… ah, no ce la faccio… allora vai via, ma no rimani. Ma che fai sei ancora qui?!?!) e inizia un concerto di due ore e mezzo (Loredana canta persino Coccodrilli bianchi di Alberto Radius che tra il pubblico della sera son sicuro di essere il solo ad aver riconosciuto…mitico grande Radius!!!!) durante il quale …zia Clara fa letteralmente le parole cociate, Loredana conciona un po’ tra una canzone e un’altra ma canta proprio alla grande e io mi commuovo quando canta “Mi manchi” ma non per chi qualcuno crede mi sia commosso …… Poi usciamo fuori ed è già tardi e nessuno partecipa al mio spaghetto di mezzanotte io ci rimango un po’ male e lo spaghetto me lo faccio davvero da solo e il testo di amici non ne ho mi ritorna in mente e un po’ mi compatisco, ma poi cala il sonno, Cirillo ha freddo e si infila sotto le coperte e io mi addormento pensando a Loredana, a zia Clara e a questa vita da sigle che dura da troppo tempo per essere provvisoria, e che io a tanto lusso, a una casa così ordinata e grande tutta per me, a una vita stabile e calma proprio non riesco ad abituarmici, come se temessi che una volta datala per scontata mi possa venir tolta, ed ecco allora che ogni sera lo sguardo va ancora meravigliato alla casa vuota al corridoio che dà alla camera da pranzo, calma, solitaria e in ordine, come questa vita da quarantene che mi ritrovo a fare senza averla davvero voluta, che mi piace, mi sta bene e quasi mi fa paura dirlo, anche se, proprio come Loredana, amici non ne ho e Zia Clara son già due anni che non c’è più…

15 novembre 2006

L'Italia è davvero impazzita!


Ascolto Il ruggito del coniglio, non per mia scelta ma da quando, l'anno scorso, hanno stravolto il palinsesto scambiando di posto Fabio e Fiamma (ciao! Quanto mi mancaaateeeeeee) coi ...conigli, e i due conduttori bacchettano Prodi per aver osato dire che l'Italia è un paese impazzito...
Guardo "Parla con me" e Serena Dandini si diverte col costituzionalista Sartori (che mai come stavolta mostra le sue radici di destra, liberale, ma di destra) a bacchettare Prodi perchè un leader che governa un paese non può dire che i suoi cittadini sono pazzi.
Ma come?! Due baluardi del pensiero libero, left oriented, criticano una delle affermazioni più sincere che un Leader abbia detto sull'Italia da 10 anni in qua?
Allora l'Italia è davvero impazzita.
Un paese i cui cittadini pensano al proprio particulare, in maniera miope, nemmeno all'oggi ma all'hic et nunc del minuto secondo, un paese in cui non c'è solidarietà di classe, in cui chi viola le regole è furbo, contro i coglioni che le rispettano, un paese dove pagare le tasse è ingiusto (tanto le autostrade e le scuole si pagano da sè...) e infati, chi le paga? Un paese dove i bambini stuprano compagne dodicenni, le professoresse si lasciano sorprendere (a scuola! In aula!!) nude con alunni altrettanto nudi, un paese di ingnoranti (siamo i meno laureati e diplomati d'europa) e cafoni (arroganti, sempre a importi le loro sigarette e i loro telefonini sempre accesi, al cinema, a teatro, in chiesa, al ristorante, in ospedale, sull'autobus, sui treni). Un paese di fasciti (dove le donne sono le prime a pensare che il loro posto è la casa) e di cattolici ipocriti che impediscono agli altri di convivere (parlo delle coppie di fatto eterosessuali che sono più di mezzo milione non di quei 4 gatti di froci) tanto loro possono divorziare.... (verdo Pier ?).
Ecco in un paese che non ha il senso della Storia (propria e altrui) che sa mobilitarsi solo per i mondiali di calcio, che ignora la scienza a favore di una superstizione che li porta a dare milioni (milioni!!!!!) in mano a Wanna Marchi, in un paese che, insomma, non sastare al mondo, tutto concentrato sul proprio ombelico (un culto del'individualismo cominciato da Craxi e portato a termine da Berlsuconi) ma che è pronto a concionare su tutto senza averne competenza alcuna, ecco in questo paese i cosiddetti di sinistra non hanno niente di meglio da dire o da fare che indignarsi (ma che borghesi di m...) per l'ovvia constatazione di Prodi?
Allora è proprio vero... questo è un paese di pazzi, molto più di quanto quel pazzo di Prodi (che si illude di poter governare l'orda italica) non creda....
Intanto io ho smesso di seguire sia i conigli che Serena(mica tanto) Dandini... La domenica sera avrò pur qualcosa di meglio da fare, no?

14 novembre 2006

eppure questo sassolino me lo devo togliere...

E dopo (co)tanto silenzio un po' di coming out...
Ma cosa avete capito?!?!?
Sto parlando di gusti televisivi.... (molto più discutibili di quelli sessuali, credetemi sulla parola...)
Insomma, ebbene sì, guardo I CESARONI!
L'ho scoperto per caso a furia di zapping, a settembre, quando un raffreddore mi ha tenuto a letto per una settimana. Mi ha subito convinto, soprattutto per quella storia (pseudo)incestuosa tra Marco ed Eva, fratellastri innamorati l'uno dell'altra (ma in tempi diversi...). E poi c'è Fassari che mi ricorda "Avanzi" e "Tunnel", Rita Savagnone gran doppiatrice (un ruolo tra tutti la Sally Bowles di Cabaret...). Ma sto divagando.
Dunque, ebbene sì, guardo I Cesaroni... e devo dire che, come in altri rarerrimi casi, questa fiction italiana quasi mi piaceva (l'altra, sempre di Canale 5 è Il bello delle donne).
Insomma, dopo aver visto i primi episodi quasi di nascosto, mi confesso coi miei studenti, ma guarda! piace anche a loro o alle loro donne... (beati loro, hanno le donne...).
E poi subito dopo la confessione ecco che devo pentirmi di aver detto che "mi piace" !
Sì perché I Cesaroni è proprio un telefilm (pardon, una fiction) misero(a).
Un po' mi spiace dirlo perché dopo averne viste circa 12 puntate, che poi sono episodi visto che ognuno è autoconclusivo, ma tanto su ogni rivista specializzata (sic) del settore i due termini sono praticamente usati come sinonimi... (ecco che divago di nuovo...), dopo 12 episodi, dicevo, ormai mi sono affezionato ai personaggi... e alla struttura narrativa con tutte le sue trovatine carine (come aprire ogni episodio con le considerazioni di Mimmo il figlio più piccolo di Giulio... per poi usarlo come figura di sfondo...).
I Cesaroni è misero, perché misera è l'Italia che ne traspare.
Non quella descritta nella fiction, una Garbatella ben fotografata e, sapete, io vi abito vicino ed è un quartiere che mi piace e che frequento e iiiiiihh lì sono ci sono stato con Andrea, lì con Vincenzo (ripenso ai miei studenti... ognuno ha quel che si merita...) ma quella che se ne deduce delle considerazioni che gli autori della sceneggiatura loro malgrado, si lasciano sfuggire tra le righe.
Nell'episodio Il derby del cuore per esempio Lucia, sua madre e Stefania (l'amica-preside) decidono di aiutare Giulio e Cesare alla vineria. E se da un alto si riconsoce l'inventiva femminle negli affari (mai visto tanti avventori come durante la loro gestione) ecco dall'altra apparire gli ammennicoli che solo una mente maschile (distorta) può usare per esprimere la differenze tra maschi e femmine: centrini (bianco e azzurri e Giulio e Cesare fanno smorfie perché romanisti, manco fossero bambini di 12 anni...) e fiori (dei quali Giulio si lamenta per la puzza!!!). E poi il limoncello freddo servito la mattina per le massaie che tornano da fare la spesa (ma in che mondo vivono gli sceneggiatori?!?! Gli anni 50?!?!) che, si sa, è molto meno alcolico del vino che ammannivano Giulio e Cesare e, insomma, tutte le massaie d'Italia alle 11 si fanno un cicchetto...
Sia chiaro è solo un dettaglio nei Cesaroni ci sono momenti di vera tenerezza (come, nell'episodio successivo, "Un mare di guai" il rapporto tra Cesare e Elisa\Pamela, la prostituta che ha ingaggiato per fingersi come sua fidanzata) ma proprio in quanto dettaglio fa da cartina di tornasole per tanti, diffusi e sparsi indizi simili in vari episodi... E' proprio nei dettagli apparentemente insignificanti, quelli che non dovrebbero "fare la storia" cioè condurre lo sviluppo della trama che si insidiano giudizi, ideologie e Weltanschauung. E la geografia umana delle donne degli uomini dei Cesaroni è ancora quella maschilista (ma del maschilismo di adolescenti un poco cresciuti) dei maschi e delle femmine dei film di Alberto Sordi (ma quelli degli anni '50 non già quelli degli anni '60, anni luce avanti rispetto ai Cesaroni).
Insomma nonostante la commedia all'italiana di cui I Cesaroni è un annacquato cugino abbia superato già 40 anni fa certi luoghi comuni gli autori di questa fiction (tutti maschi...) ce li sciorinano come freschi intelligenti e autoironici...
E' proprio vero che l'Italia del primo decenni del nuovo millennio (uff) è molto vicina a quella degli anni '50 dove i gay indossano ancora parrucche rosa, l'omo ha da puzza' e la suocera una rompiscatole (ma ha 35.000 euro messi da parte con la pensione integrativa!!!!).
Non fraintendetemi è proprio nel continuo oscillare tra luoghi comuni beceri e situazioni sempre molto fragili ma almeno più up to date che I Cesaroni mostra tutta la pochezza dei suoi autori che si cibano dei resti delle briciole dei telefilm visti in gioventù(ma qui non andiamo oltre Happy Days...) ma si sa che una cosa che manca ai maschi italiani, di ieri, di oggi, di sempre, è proprio l'(auto)ironia.
Chissà com'è la serie spagnola originale da cui I Cesaroni è tratta...
Come? credevate che l'idea fosse italiana?!?! Ma se chi ha qualche idea da questo paese di fascisti se ne va!
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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