14 novembre 2012

Festival Internazionale del film di Roma: un'estetica conformista

Non so davvero da cosa dipenda. Se dalla facilità con cui oggi si possono accedere ai mezzi di produzione cinematografica, garantendo a tutti (beh a molti più che prima) accesso al mondo della produzione senza una necessaria gavetta; se alla pervasione della tv che ci induce a credere che la registrazione delle immagini senza un gioco esplicito  del montaggio sia di per sé garanzia di verità (come se non ci fosse montaggio nel palinsesto ...) che la narrazione significa riprodurre la realtà così come si crede di averla vista, fatto sta che troppi, tutti (?) i film del festival che ho avuto modo di vedere presentano lo stesso pernicioso e mortale difetto. Si propongono come interfacce cristalline (quando di cristallino non hanno nulla) tra noi e la realtà presentata nel film, sia esso una fiction o un documentario.  Invece di mostrarci  il processo di ripresa e di costruzione del film, visto che oggi abbiamo l'esperienza e la memoria collettiva, in quanto spettatori, per poterlo fare senza rimanerne confusi, i film si presentano tutti come dei mediatori tra noi e la realtà e non già come gli emettitori di un messaggio che si pretende stia altro, a monte, là dove sono state colte le immagini.

Niente di più falso naturalmente visto che nessuno riproduzione come dice la parola è una copia della realtà ma una sua ricostruzione a partire da una precisa ipotesi ricostruttiva della realtà e che insomma invece di collettivizzare questa ricostruzione (in maniera vagamente brechitaina se volete) questi film e documentari ci  vogliono  ancora più passivi e passive e ci  impongono di credere a quel che vediamo perché garantisce la presa diretta - quell'assurda e sciocca idea baziniana che se non c'è montaggio il cinema è più vero - e non il discorso, o l'occhio del regista. Cosa naturalmente falsa (non dimentichiamoci che Bazin era un gesuita...) e sulla quale già Pirandello 30 anni prima aveva scritto pagine illuminanti.
Ma tant'è.
Carrelli lunghissimi dove non succede niente.
Interi film che si presentano, nella scansione narrativa,  con una andamento da film amatoriale  mostrandoci  banali pomeriggi  nei quali  non succede nulla. Al massimo ci si perfeziona nella ricerca fotografia o nella composizione dell'inquadratura.
Per il resto sono tutti film egotisti, auto-celebrativi che non hanno davvero nulla da dire oltre a guarda quanto ce l'ho grosso (non a caso sono fatti tutti da uomini ), cioè, fuor di metafora, guarda io sto comunicando (non già raccontando)  a te e sono quindi un figo della madonna.

So di essere controcorrente e che la maggior parte dei colleghi e delle colleghe penserà che sono vecchio, legato al passato. Io invece trovo loro, voi, naif, se davvero credete che questa estetica da youtube da sola garantisca qualcosa  oltre alla mostruosa mancanza non già di idee ma di cose da comunicare  e tutto si riduce a una mostrazione che si pretende racconto  senza alcuna metafora che lo sottenda o sostenga l'immagine.
Questo non è affatto cinema  ma una mummificazione del reale (proprio in senso opposto al signficato che ne dava Bazin) dove mi si costringe a chiudermi in sala per rivedere male quello che fuori, nel mondo reale, posso vedere  meglio e in maniera molto più soddisfacente.

Diversissimi i film tra di loro eppure tutti non a caso irrimediabilmente proni a una estetica da reality  da diretta tv (nessuno ha mai letto le illuminanti pagine di Eco di 50 anni fa sulla retorica della verosimilgianza della diretta tv?) che proclamano ne momento  stesso in cui pretendono di esser cinema la sua morte.

Ma la cosa che mi dà più fastidio è l'assoluta mancanza di ironia e di autoironia, l'assoluta serietà con cui predono in considerazione le proprie deiezioni e le danno in pasto a un pubblico coprofago che troppo spesso pare apprezzare.



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