15 gennaio 2011

I padroni del vapore: sul contratto ad hoc di Mirafiori non firmato dalla Fiom

Ecco un po' di informazioni per apprezzare (sic!) fino in fondo la vittoria del si al referendo nella fabbrica Fiat (ora Fiat Crysler) Mirafiori.

Buona lettura!

Un po' di storia

Il conflitto Fiat-Fiom scoppiato a fine 2010 sul progetto per lo stabilimento di Mirafiori a Torino – che segue l’analoga vicenda per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco – è importante per il futuro economico e sociale del paese. Giornali e tv presentano la versione Fiat, sostenuta anche dal governo, per cui con la crescente competizione internazionale nel mercato dell’auto i lavoratori devono accettare condizioni di lavoro peggiori, la perdita di alcuni diritti, fino all’impossibilità di scegliere in modo democratico i propri rappresentanti sindacali.
Vediamo i fatti. Nel 2009 la Fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili. La Fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato significativamente inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei, ed è poco attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale. A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 – quando l’azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale – negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel continente nel corso del 2010.
Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%. La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat Industrial e l’interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che le priorità della Fiat sono sempre più orientate verso la dimensione finanziaria, a cui potrebbe essere sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti.
A dispetto della retorica dell’impresa capace di “stare sul mercato sulle proprie gambe”, va ricordato che la Fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno. A fare le spese di questa gestione aziendale sono stati soprattutto i lavoratori. Negli ultimi dieci anni l’occupazione Fiat nel settore auto a livello mondiale è scesa da 74 mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22 mila lavorano nelle fabbriche italiane. Le qualifiche dei lavoratori Fiat sono in genere inferiori a quelle dei concorrenti, i salari  medi sono tra i più bassi d’Europa e la distanza dalle remunerazioni degli alti dirigenti non è mai stata così alta: Sergio Marchionne guadagna oltre 250 volte il salario di un operaio.
Questi dati devono essere al centro della discussione sul futuro della Fiat. L’accordo concluso dalla Fiat con Fim, Uilm e Fimsic per Mirafiori – che la Fiom ha rifiutato di firmare – prevede un vago piano industriale, poco credibile sui livelli produttivi, tanto da rendere improbabile ora ogni valutazione sulla produttività. L’accordo appare inadeguato a rilanciare e qualificare la produzione, e scarica i costi sul peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Sul piano delle relazioni industriali i contenuti dell’accordo sono particolarmente gravi: l’accordo si presenta come sostitutivo del contratto nazionale di lavoro, e cancellerebbe la Fiom dalla presenza nell’azienda e dal suo ruolo di rappresentanza dei lavoratori che vi hanno liberamente aderito. Il referendum del 13-14 gennaio tra i dipendenti sull’accordo, con la minaccia Fiat di cancellare l’investimento nel caso sia respinto, pone i lavoratori di fronte a una scelta impossibile tra diritti e lavoro. In questa prospettiva, la strategia Fiat appare come la gestione di un ridimensionamento produttivo in Italia, scaricando costi e rischi sui lavoratori e imponendo un modello di relazioni industriali ispirato agli aspetti peggiori di quello americano.
Esistono alternative a una strategia di questo tipo. In Europa la crisi è stata affrontata da imprese come la Volkswagen con accordi sindacali che hanno ridotto l’orario, limitato la perdita di reddito e tutelato capacità produttive e occupazione; in questo modo la produzione sta ora riprendendo insieme alla domanda. Produrre auto in Europa è possibile se c’è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale; per questo sono necessari lavoratori con più competenze, meno precarietà e salari adeguati; un’organizzazione del lavoro contrattata con i sindacati che assicuri alta qualità, flessibilità delle produzioni e integrazione delle funzioni. E’ necessaria una politica industriale da parte del governo che non si limiti agli incentivi per la rottamazione delle auto, ma definisca la direzione dell’innovazione e degli investimenti verso produzioni sostenibili e di qualità; le condizioni per mercati più efficienti; l’integrazione con le politiche della ricerca, del lavoro, della domanda. Considerando l’eccesso di capacità produttiva nell’auto in Europa, è auspicabile che queste politiche vengano definite in un contesto europeo, evitando competizioni al ribasso su costi e condizioni di lavoro. Su tutti questi temi è necessario un confronto, un negoziato e un accordo con i sindacati che rappresentano i lavoratori dell’azienda.
In nessun paese europeo l’industria dell’auto ha tentato di eliminare un sindacato critico della strategia aziendale dalla possibilità di negoziare le condizioni di lavoro e di rappresentare i lavoratori. L’accordo Fiat di Mirafiori riduce le libertà e gli spazi di democrazia, aprendo uno scontro che riporterebbe indietro l’economia e il paese.
Ci auguriamo che la Fiat rinunci a una strada che non porterebbe risultati economici, ma un inasprimento dei conflitti sociali. Ci auguriamo che governo e forze politiche e sindacali contribuiscano a una soluzione di questo conflitto che ristabilisca i diritti dei lavoratori a essere rappresentati in modo democratico e tuteli le condizioni di lavoro. Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori coinvolti e alla Fiom, sosteniamo lo sciopero nazionale del 28 gennaio 2011 e ci impegniamo ad aprire una discussione sul futuro dell’industria, del lavoro e della democrazia, sui luoghi di lavoro e nella società italiana.
Margherita Balconi, Università di Pavia
Paolo Bosi, Università di Modena e Reggio Emilia
Gian Paolo Caselli, Università di Modena e Reggio Emilia
Daniele Checchi, Università Statale di Milano
Tommaso Ciarli, Max Planck Institute of Economics
Vincenzo Comito, Università di Urbino
Marcella Corsi, Università di Roma “La Sapienza”
Pasquale De Muro, Università di Roma Tre
Giovanni Dosi, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
Marco Faillo, Università degli Studi di Trento
Paolo Figini, Università di Bologna
Massimo Florio, Università Statale di Milano
Maurizio Franzini, Università di Roma “La Sapienza”
Lia Fubini, Università di Torino
Andrea Fumagalli, Università di Pavia
Mauro Gallegati, Università Politecnica delle Marche
Adriano Giannola, Università di Napoli Federico II
Anna Giunta, Università di Roma Tre
Andrea Ginzburg, Università di Modena e Reggio Emilia
Claudio Gnesutta, Università di Roma “La Sapienza”
Elena Granaglia, Università di Roma Tre
Simona Iammarino, London School of Economics
Peter Kammerer, Università di Urbino
Paolo Leon, Università di Roma Tre
Stefano Lucarelli, Università di Bergamo
Luigi Marengo, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
Pietro Masina, Università di Napoli “L’Orientale”
Massimiliano Mazzanti, Università di Ferrara
Marco Mazzoli, Università Cattolica di Piacenza
Domenico Mario Nuti, Università di Roma “La Sapienza”
Paolo Palazzi, Università di Roma “La Sapienza”
Cosimo Perrotta, Università del Salento
Mario Pianta, Università di Urbino
Paolo Pini, Università di Ferrara
Felice Roberto Pizzuti, Università di Roma “La Sapienza”
Andrea Ricci, Università di Urbino
Andrea Roventini, Università di Verona
Maria Savona, University of Sussex
Francesco Scacciati, Università di Torino
Alessandro Sterlacchini, Università Politecnica delle Marche
Stefano Sylos Labini, Enea
Giuseppe Tattara, Università di Venezia
Andrea Vaona, Università di Verona
Marco Vivarelli, Università Cattolica di Piacenza
Antonello Zanfei, Università di Urbino
Adelino Zanini, Università Politecnica delle Marche
fonte: il manifesto

Che cosa cambia con l'accordo


Mirafiori, ecco cosa prevede l'accordo

Mirafiori: ecco cosa prevede l'intesa del 23 dicembre che la Fiom non ha firmato e che i lavoratori votano nel referendum.

L'accordo per lo stabilimento di Mirafiori firmato tra Fiat e i sindacati metalmeccanici, esclusa la Fiom-Cgil, riguarda solo i circa 5.400 dipendenti dello stabilimento Mirafiori Carrozzeria: i lavoratori passeranno alla joint venture Fiat-Chrysler, una “newco” (“new company”, così definiscono una nuova società) per realizzare investimenti per un miliardo. I lavoratori si preparano a votare a partire da giovedi' alle 22.00.

LA JOINT VENTURE FIAT-CHRYSLER
La nuova società avrà un contratto di lavoro ad hoc e inizialmente non aderirà a Confindustria in attesa che venga formalizzato un nuovo contratto per il settore auto, almeno stando al cosiddetto 'Patto di New York' stabilito tra l'ad di Fiat Sergio Marchionne e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. I rapporti di lavoro saranno regolati in base alle norme contenute nell'accordo separato, non sottoscritto dalla Fiom, firmato il 23 dicembre da Fim, Uilm, Ugl Metalmeccanici, Fismic, e Agenquadri.

TURNI
A regime i dipendenti lavoreranno su 18 turni (tre turni al giorno su sei giorni) con una settimana di sei giorni lavorativi e la successiva di quattro giorni. Il 18esimo turno sara' retribuito con la maggiorazione dello straordinario. Gli addetti alla manutenzione e alla centrale vernici lavoreranno su 21 turni (sette giorni su sette) mentre per gli addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai) l'orario sara' dalle 8.00 alle 17.00 con un'ora di pausa non retribuita. Con l'aumento dei turni si avranno circa 3.500 lordi annui in busta paga in piu'.

DIVIETO DI SCIOPERO
I lavoratori, dopo aver fatto il referendum e sottoscritto il contratto, non possono scioperare contro clausole contenute nell'accordo. Altrimenti rischiano del licenziamento.

STRAORDINARI
Possibilità di fare straordinari senza contrattazione. Si passerà dalle 40 ore previste annualmente dal contratto nazionale dei metalmeccanici a 120 ore del nuovo accordo. In sostanza saranno 120 le ore di straordinario obbligatorie ogni anno (15 sabati lavorativi), 80 in piu' delle 40 attuali.

PAUSE
Il nuovo accordo prevede 30 minuti di pausa, al posto degli attuali 40: tre di 10 minuti invece che due da 15 e una da 10. I 10 minuti in meno verranno retribuiti dall'azienda (32,47 euro al mese di compensazione). La pausa mensa di mezz'ora per ora rimarrà a metà turno. L'accordo prevede che lo spostamento a fine turno della pausa mensa sarà discusso all'entrata in vigore effettiva della joint venture tra Fiat e Chrysler.

CASSA INTEGRAZIONE
Si chiedera' la cassa integrazione straordinaria per tutto il personale dal 14 febbraio 2011 (quando finira' l'ordinaria) per la durata di un anno.

RETRIBUZIONI
La retribuzione annua individuale verrà aumentata di 3.700 euro per l'incidenza delle maggiorazioni di turno.

ASSENTEISMO
Diverse le soglie di assenteismo presentate nell'accordo. Quando il tasso di assenteismo a Mirafiori supererà determinate soglie progressive (6% dal luglio 2011, 4% dal gennaio 2012, 3% dal 2013) non verrà pagata al dipendente l'integrazione a carico dell'azienda relativa al primo giorno di malattia: in particolare a chi abbia iniziato la malattia, collegandosi a riposi, festività e ferie. Da questa norma sono esclusi i dipendenti affetti da gravi patologie.

RAPPRESENTANZA SINDACALE
Addio alle Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie, aperte a firmatari e no ma comunque con un peso del 5%. Arrivano le Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali. Il nuovo contratto ad hoc per Mirafiori non riconosce l'accordo interconfederale del 1993 sulla rappresentanza sindacale, ma si rifà allo Statuto dei lavoratori che prevede la rappresentanza solo per i firmatari del contratto. Chi non firma l'accordo, come la Fiom, non avrà delegati in fabbrica, né potrà indire assemblee.

FORMAZIONE
Saranno tenuti corsi di formazione per i lavoratori in cig: la frequenza sara' obbligatoria.

ORGANICI
Le assunzioni del personale per la joint venture saranno fatte prioritariamente dagli stabilimenti Fga di Mirafiori e successivamente dalle altre Fiat torinesi garantendo retribuzione e inquadramento precedenti. Sara' riconosciuta l'anzianita' aziendale pregressa e sara' liquidato il Tfr a chi lo chiedera'.

CLAUSOLA DI RESPONSABILITA'
Come gia' previsto per lo stabilimento di Pomigliano, il non rispetto degli impegni assunti con l'accordo comporta sanzioni in relazione a contributi sindacali, permessi per direttivi e permessi sindacali aggiuntivi allo Statuto dei Lavoratori.

PRODUZIONE DAL 2012
A partire dal terzo trimestre del 2012 Mirafiori avvierà la produzione di Suv per i marchi Jeep e Alfa Romeo. Dal 14 gennaio i lavoratori torneranno in cassa integrazione per un anno * e parteciperanno a programmi di formazione. A regime lo stabilimento torinese produrrà tra le 250mila e le 280mila unità, destinate ai mercati internazionali. Il Lingotto prevede di investire circa un miliardo, nel quadro dei 20 miliardi previsti dal progetto "Fabbrica Italia", presentato da Marchionne lo scorso aprile all'investor day

* trattasi di Cassa Integrazione Straordinaria, cioè pagata dalla Collettività (cioè dai cittadini italiani)

fonte rassegnastampapersonale (da prendere in maniera critica visto che sbaglia i soldi in più in busta paga di una grandezza si parla di migliaia di euro invece che centinaia...)

La situazione dopo la vittoria del sì in fabbrica


Il risultato che il “fronte del no”, prima del voto, avrebbe sottoscritto senza problemi come una vittoria. Ma che dopo i quattro seggi del reparto montaggio – i “no” avevano prevalso in modo decisamente inatteso col 53% – suona come una beffa. Alla fine i “sì” hanno prevalso solo grazie al voto degli impiegati (421 favore, 20 contro), i meno toccati dall”accordo” nelle condizioni di lavoro.
La conclusione è giunta verso le sette di mattina, dopo una lunga notte in cui le operazioni sono andate decisamente a rilento anche a causa del “giallo” della sparizione di 58 schede al seggio numero 8, uno dei quattro del reparto montaggio. Poi si è visto che in realtà la commissione elettorale aveva sbagliato al momento della vidimazione delle schede, timbrandone appunto 58 in più. Questo dato cambia anche quello sull'affluenza: invece del 96,07% registrato inizialmente, in totale ha votato il 94,89 degli aventi diritto (5,154 lavoratori).
Dunque, come ha detto a caldo il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Airaudo, «bisogna apprezzare il grande coraggio e l'onestà di una grandissima parte dei lavoratori di Mirafiori che hanno detto di no all'accordo. Gli operai delle linee di montaggio hanno detto di no. Di fatto sono stati decisivi gli impiegati che a Mirafiori sono in gran parte capi e struttura gerarchica».
Come e meglio di Pomigliano (dove i “no” avevano raggiunto un 36% impensabile all'inizio), il risultato non permette a Marchionne di prendere cappello e chiudere la fabbrica, ma gli consegna un corpo sociale che nella sua maggioranza “vera” (gli operai di linea, quelli che “fanno” la macchina) non è affatto piegato al suo volere e lo ha detto con forza.
Per poter dare una valutazione seria di questo risultato occore ricordare che il fronte dei sindacati pro-accordo (Fim Cisl, Uilm, Ugl, Fismic) aveva prima di ieri il 71% dei voti nelle Rsu, mentre il “fronte del no” (Fiom, in primo luogo, più Cobas e Usb) soltanto il 29. Si è quindi verificato un “quasi” perfetto rovesciamento degli equilibri interni a questa fabbrica, da molti anni dipinta come “rassegnata” e ormai estranea al conflitto sociale.
Se riguardiamo il film dei giorni scorsi, fino al voto, dobbiamo ricordare le centinaia di persone, uomini e donne spesso in lacrime, che spiegavano alle telecamere che avrebbero detto “sì” solo perché messi di fronte a un ricatto in piena regola, un autentico “o la borsa o la vita”. Dobbiamo quindi sapere tutti – Marchionne, i “sindacati complici”, l'inguardabile classe politica di questo paese – che persino in questo microcosmo di 5.400 persone messe con le spalle al muro non trova “consenso” autentico uno imbarbarimento delle vite e un annullamento dei diritti che vuol riportare il lavoro nelle condizioni degli inizi dell'800.
Di fatto dunque, e non per paradosso, si tratta del risultato peggiore possibile per i sostenitori di questa “modernizzazione” a rovescio: dovete fare quel che avete detto, ma sapendo di avere la maggioranza contro. Qui, nel paese del bunga-bunga e dell'affidarsi a qualche santo.
Da questo dato prende una spinta decisiva anche tutto il movimento che va preparando lo sciopero generale dei metalmeccanici del 28 gennaio: “vincere è possibile”, come aveva spiegato Maurizio Landini prima del voto. Bisogna smetterla di farsi inchiodare dalla paura e dal pessimismo sistematico. In fondo, ci sono già riusciti a Tunisi...
fonte: ilmanifesto

Infine ecco il link per leggere l'accordo firmato il 23 dicembre scorso dai sindacati con l'esclusione della Fiom.

Bel paese di merda, nevvero?

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bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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