25 ottobre 2008

Festival del cinema (2)





Secondo film visto (del primo, quello di Greenaway vi parlerò sta pomeriggio) di questa mostra pigra e dai pochi titoli interessanti, è stato Giorgio/Giorgia (storia di una voce) di Gianfranco Mingozzi, un documentario su e con Giorgia O'Brian nome d'arte di Giorgio Montana, omosessuale d'altri tempi che confonde l'orientamento sessuale con l'identità di genere (per cui se da piccolo non gli piacevano le pistole ma le bambole è perché è femmina anzi, no, gay, ma poi si opera...
Il solito pasticcio dei gay di una volta (e degli etero distratti di sempre).
Il documentario presenta interviste a diverse attrici (anche Lucia Poli che volle Giorgia al suo fianco per diversi spettacoli alla fine degli anni settanta) anche a vari trans...
I soliti ragazzi delle scuole mandati allo sbaraglio non fanno apprezzamenti e alla fine applaudono.
Giorgia è simpatica, racconta della sua operazione, delle polpette di carne rifiutate per sospetta provenienza, del suo matrimonio con George, insomma siamo a cavallo tra agognata normalità borghese e uno sguardo ai freaks che, poverini, sono figli di dio anche loro.
Troppa vita privata e poca storia del costume e dello spettacolo (Giorgia aveva voce da baritono e da soprano e ha calcato el scene nelle riviste dalla fien degli anni 50) ma si sa siamo in Italia...
Il film serve giusto a presentare Giorgia a chi non la conosce, ma a niente più...

Ciao stronza mia!


Mi ricordo quando,
Fernando era morto da poco,
mi chiamavi,
un filo di voce al telefono,
e ti bastava pronunciare il mio nome
perché io corressi da te.
Non fu sempre che correvo
per stare al tuo fianco.
Ci fu un tempo che non ci vedemmo affatto.
Quando ci ritrovammo
riprendemmo a parlarci
là dove ci eravamo fermati
anni prima
e scoprimmo di non esserci mai perduti.
Ma ora,
mia amica antica,
chi chiamerò
affinché corra al mio fianco,
con un filo di voce,
smarrito, sperduto e impaurito
perché tu non ci sei più?
Ti chiamerò invano
finché il tuo nome diverrà soffio di preghiera
mormorio sommesso
di amore immenso e sempre nuovo
pronto a porgere orecchio
a una risposta anelata e mai soddisfatta.





Tu dormi,
già stanca di aspettare
una morte improvvisa,
che poi così improvvisa non è.
Io ti saluto e
ti passo una mano sulla fronte,
timida carezza rubata.
Tu che al contatto fisico
ti sei sempre concessa poco,
parca di una confidenza che consideravi affettata…
E adesso invece
sorridi soddisfatta
e dici contenta:
Oh yeah!





Come chi,
più annoiato che rassegnato,
aspetta qualcosa
che non può né accelerare né evitare,
attendi
distratta e svogliata,
gli occhi spalancati,
il respiro affannato,
le braccia indolenti
che accennano movimenti stanchi,
il dorso di una mano poggiato mollemente sulla fronte,
attendi
attendi
e io attendo con te.




Non so
quanti sanno
che per te
tutto questo
è solo una recita pagana
che a te diverte, sfacciata, come diverte
uno spettacolo circense,
una farsa sguaiata,
un numero di prestidigitazione…
Non so
quanti sanno
che tu
sai
come so io
che dopo non c’è niente
e che la morte è la fine di tutto.
Ce lo dicemmo, amici di primo pelo,
la sera stessa che perdesti Fernando,
siglando una laica intesa che ci ha uniti per sempre.
Ma la chiesa è piena
in prima fila
ci sono i tossici e i barboni
e il tuo spettacolo è un numero perfetto,
per chi sa,
e per chi non sa.